CUBARA', AVAMPOSTO DELLA CIVILTA'
Cubarà è una cittadina ai limiti del resguardo unido, il territorio degli indigeni U'wa, nel nord est della Colombia. Quattro strade polverose, dieci posadas, una scuola. Ma è il centro di passaggio della regione di Boyacà: nell'unica via asfaltata, un andirivieni di camion dalle vite più o meno fortunate. A due passi c'è il Venezuela, tutt'intorno il verde smeraldo della foresta equatoriale.
In città il verde è ben altro, quello dell'esercito. Cubarà è militarizzata. “Da tre anni il numero dei soldati è aumentato”, ci spiega Sara Mogollon, insegnante e sindacalista, attiva nei programmi d'insegnamento speciali per le scuole indigene.
Il “così” di Sara sono picchetti militari, mitra spianati, blocchi stradali e perquisizioni. Noi che arriviamo dalla vicina Saravena, dove c'è il piccolo aereoporto militare, vieniamo fermati quattro volte: ad ogni alt, controllo bagagli e documenti, domande, sguardi obliqui.
Cubarà è il segno tangibile della tolleranza zero contro la guerriglia del presidente colombiano Alvaro Uribe: una bandiera politica che ha volteggiato in abbondanza durante i suoi due mandati - l'ultimo dei quali terminerà con le elezioni del 30 maggio, dopo che il suo progetto di rielezione è stato bloccato dalla Corte Costituzionale – ma anche ferocemente criticata. Con il programma “sicurezza democratica” , Uribe ha fatto accordi con le Autodefensas Unidas de Colombia e in parte con l'Esercito di Liberazione Nazionale. Ma ha fallito clamorosamente con le FARC, ostili alla sua alleanza con gli Stati Uniti. Una postura politica che gli oppositori interni definiscono “guerrista”. E che il nemico di sempre, il presidente venezuelano Hugo Chavez, tacciava nel 2007 con dure parole: “La Colombia non ha sentimento umanitario, né volontà di pace. E' terribile quando l'inumanità diventa governo”. Era appena sfumata una sua mediazione per la liberazione di alcuni ostaggi.
Le montagne coperte dalla vegetazione equatoriale che circondano Cubarà sono l'habitat naturale di Farc ed Eln: due guerriglie che da più di mezzo secolo insanguinano la Colombia, e che oggi traducono i loro distorti discorsi rivoluzionari in narcotraffico, omicidi e sequestri, e con picchi di violenza inaudita come l'episodio che mentre stiamo scrivendo ha guadagnato le prime pagine dei giornali: 10 morti per un'autobomba, un ragazzino usato come kamikaze.
Boyacà, la regione di Cubarà, e più in generale tutta la zona nordestina, sono un serrato riassunto delle facce più dure della Colombia. E pensare che a Boyacà il 7 agosto 1819 Simon Bolivar vinceva la battaglia decisiva e veniva eletto primo presidente della Repubblica di Gran Colombia.
IL “KAJKA IKA”: UN PARADISO ALL'INFERNO
Qui non manca nulla: guerriglie, narcotraffico, militarizzazioni controverse sulla scia del Plan Colombia, per molti null'altro che la longa manu armata degli Usa.
L'obbiettivo è unico: una ricchezza incalcolabile di petrolio, gas, minerali, preziosi, acqua, terra. Bocconi prelibati per multinazionali di mezzo mondo. Cartelli industriali e finanziari che hanno complicato la topografia della zona, portandosi dietro paramilitarismo e desplazamentos forzati di tutti coloro che sono un impedimento al diktat imperante, il profitto.
Questo intreccio di guerre, droga e mercato che ogni anno fa decine di morti e feriti, lambisce ed attraversa il Kajka Ika, il territorio sacro della popolazione indigena locale, gli U'wa: 220.500 ettari circa di una purezza quasi intatta, dal '91 riconosciuti legalmente come resguardo unido U'wa. Fa sorridere che Cubarà,appena fuori il resguardo, sia considerato l'ultimo avamposto della civiltà.
Per incontrare l'antico popolo U'wa bisogna aspettare il responso dei werjayà, i saggi del popolo che vivono sulle montagne. E poi quello del cabildo mayor, la massima autorità politica. A Cubarà, dove ci fermiamo alcuni giorni prima di entrare nel resguardo, non veniamo mai lasciati soli. I werkajà hanno raccomandato prudenza. Gli eserciti guerriglieri pattugliano i dintorni, e si combattono l'uno con l'altro. Ed è ancora fresco il ricordo dei 3 volontari statunitensi ammazzati dalle FARC – l'esercito guerrigliero delle Forze armate rivoluzionarie colombiane – nel 2001, fra cui Terence Freitas, coordinatore della campagna “La cultura con principios no tiene precio” in difesa del popolo U'wa.
IN DIFESA DEL PLANETA AZUL
“Siamo pronti ad un nuovo levantamento del popolo in resistenza”.
Il cabildo mayor del popolo U’wa è riunito al completo nella sede di latta e mattoni nel centro dell’abitato di Cubarà. La pioggia batte sulle lamiere del tetto con meditata forza. La stagione bagnata, in questa zona della Colombia che lambisce l’equatore, dura praticamente metà dell’anno. Rinvigorendo ogni giorno la vita di una foresta multiforme che pare infinita e di cui si sente costantemente la presenza.
“Nuovi megaprogetti stanno minacciando il resguardo. Per questo stiamo tornando ad organizzarci. Il governo ha cambiato tattica, prova a dividerci con la corruzione, con le regalie. Ma sa che gli U'wa non negoziano. E che mai si arrenderanno”.
Gilberto Cubaria, presidente del cabildo mayor, che rappresenta le 17 comunità di questa popolazione indigena che oggi conta 6200 persone, non usa giri di parole. ”Se il territorio U'wa verrà violato, ci batteremo per difenderlo. Noi lotteremo per la Madre Terra fino a che non rimarrà uno solo di noi”.
Chi conosce la storia di questo popolo che dieci anni fa riuscì con la forza della propria missione ancestrale a scacciare una delle multinazionali del petrolio più imponenti, la statunitense Occidental Petroleum Inc – Oxy per gli “amici” - sa bene che gli U'wa non scherzano. La loro visione è limpida: loro sono Kajkrasaq Ruyina, i guardiani della terra. E' così da sempre. E finchè loro sopravviveranno, sempre sarà così.
A pochi passi dal cuore del mondo, ecco dove siamo. Il territorio U'wa è il centro del Pianeta Azzurro, la Madre Terra. E' creato da Sira, il dio sole. La raffinata cosmogonia lo colloca in equilibrio fra un mondo sovrastante ed uno sottostante. Una burocratica legislazione lo ha invece diviso amministrativamente fra 5 province, Arauca, Boyocà, Santander, Norte di Santander e Casanare.
Il resguardo, meno del 20% di quello che fu il territorio degli U'wa, si arrampica sulla parte nord della Cordillera Orientale colombiana. Un tempo si estendeva fino alla Sierra Nevada di Merida, confinando con il popolo Bari al nord, e i Sikuoani al sud.
Una terra che sa di primordi, che viene ringraziata e curata con riti e premure: gli U'wa quasi non cacciano e coltivano poco. Questo giardino ancestrale che include 4 microclimi – dalla foresta equatoriale con palme e grandi agave, fino ai prati radi ai piedi del nevaio del Cucuy – è molto generoso. Grandi quantità d'acqua lo attraversano con fiumi e torrenti pescosi. E un numero davvero considerevole di commestibili piante spontanee.
“L'hortigo è la nostra carne ”, dice Daris, mentre strappa con sapienza una pianta simile alle nostre ortiche, che scova in mezzo ad un groviglio di tante altre. “Gli U'wa quasi non cacciano. Kakina è lo spirito delgi animali e si arrabbia”. Daris Cristancho è della comunità U'wa di Bachira, una delle più lontane. E'quella che si dice una leader, impegnata da anni per il suo popolo e per i diritti delle donne indigene. Assieme a Berito Kowaria, il viso internazionalmente riconosciuto della lotta degli U'wa e premio Goldman nel Daris partecipa a numerosi incontri internazionali. Ma poi torna sempre qui, nella sua terra e dai suoi cinque figli. “Mia nonna quando ero piccola mi aveva detto che io avrei difeso il mio popolo, e questo sarebbe stato il mio destino”. Con lei percorriamo il sentiero verso la comunità di Fatima, dove ci aspettano per un rituale. La natura è potente, le scimmie araguaro urlano d'amore fra gli alberi, i torrenti sono trasparenti e l'acqua è buona. Daris rompe quella specie di ipnosi. Getta lo sguardo lontano e ricorda: “Passavano elicotteri e c'erano i lacrimogeni. A decine siamo stati arrestati e picchiati. Mi ricordo i fratelli uccisi. Mi ricordo le madri che piangevano. Ora nuove battaglie ci aspettano. Guarda le montagne, non si vedono: questa nebbia perenne le copre. E' el micero del gas che brucia notte e giorno. E il cielo da mesi non è più lo stesso”. “Ecco perchè il cabildo mayor è sul piede di guerra: la colombiana Ecopetrol, che non ha mai smesso di proseguire con le attività estrattive, ha nuove mire sul resguardo, fra cui un gasdotto. La vittoria planetaria che gli U'wa ottennero contro la Oxy, che lasciò a Ecopetrol il proseguimento delle esplorazioni petrolifere non è bastata? Pare di no. Eppure, la lotta degli U'wa fece storia.
RIOWA, IL SANGUE DELLA TERRA
Nel '92 la multinazionale Occidental Petroleum tenta di affondare i denti nel territorio indigeno U'wa nel Blocco Samoré: un miliardo e mezzo di barili di petrolio è la promessa, e tre anni dopo, attraverso la risoluzione 0788, l'allora ministro dell'ambiente Juan Mair dà il premesso di scavare il primo pozzo Gibraltar 1.
Gli U'wa insorgono disperati: il petrolio è il sangue della terra, estrarlo è un delitto. Il governo colombiano, che partecipa con quote azionarie all'affare attraverso la locale Ecopetrol, manda 5000 soldati a fronteggiare 5000 indigeni seminudi e disarmati: è un macello. Una bambina di quattro mesi muore asfissiata, 3 ragazzini annegano nel Rio Cubucòn mentre fuggono da un attacco stile Apocalyps Now. Undici Guahibos, indigeni giunti in appoggio alla causa degli U'wa, spariscono nel nulla, così come una neonata, strappata dalle mani della madre mentre viene arrestata. E' l'11 febbraio del 2000. Il durissimo scontro va avanti nei mesi successivi a suon di arresti, trasferimenti coatti, violenze, ma anche un'imponente campagna mediatica che allerta l'attenzione internazionale. Questo pugno di indigeni analfabeti resiste e affronta da una parte uno dei colossi finanziari più agguerriti, dall'altra un governo cinico che non riconosce i loro diritti sanciti dall'articolo 7 della Costituzione. Il petrolio è la linfa vitale. Stanno ammazzando nostra madre”, dicono gli U'wa. Minacciano pubblicamente il suicidio collettivo. L'avevano già fatto per non vivere da schiavi dei conquistadores: si decimarono buttandosi da una rupe. Il luogo è ricordato come il Peñón de los muertos, e il fiume, raccontano, deviò il suo corso per la mostruosa montagna di corpi umani.
Nel 2000, delegazioni internazionali – anche italiane – partono alla volta di questo angolo un tempo disconosciuto della Colombia, e sfidano governo e guerriglie per partecipare alle manifestazioni pubbliche contro la Oxy.
“U'wa si, Oxy no!”
Diventa questo lo slogan gridato nelle tante marce. I contadini di Arauca solidarizzano e bloccano più volte l'intera regione.
Il saldo di anni di resistenza è alto. Gli U'wa si appellano alla Corte Interamericana dei Diritti Umani e citano lo stesso Stato colombiano: è il 2002. Vinceranno. La Oxy si ritira, cedendo i propri diritti alla Ecopetrol. In quei giorni, i media alternativi di mezzo mondo, battono le parole di Berito Kuwaria, allora presidente del cabildo: “Siamo tutti figli della terra”.
Berito vinse il Premio Goldman. Quando lo andiamo a trovare, ci accoglie con il suo largo sorriso e gli occhi posseduti da sciamano: “Hermanitos, siete tornati!”, ci dice. “Guardate, questi sono i miei dollari!”, e indica la fila di bambini che alla spicciolata stanno arrivando alla sua capanna. Berito vive con la famiglia allargata e una moltitudine di animali di ogni grandezza ed età. Ha sofferto di tubercolosi e ha superato la cinquantina – sull'età le notizie sono discordanti. La sua casa sta in piedi per qualche miracolo. Il Premio Goldman – 125 mila dollari – lo ha regalato. “Questi sono i miei dollari!”, e quasi canta. I bambini – insieme alle madri e ai padri, che sopraggiungono - sono pronti per il rito che prevede il nostro battesimo come membri del popolo U'wa. Poi la notte balleranno e canteranno nenie antiche come il mondo, che solo l'oralità tramandata fra generazioni permette di far sopravvivere.
Il caso degli U’wa, contro lo stato colombiano e la multinazionale petrolifera Oxy è stato esemplare :mai prima di allora una popolazione indigena era riuscita in Colombia a dare tanto risalto internazionale ad una lotta, ad utilizzare tanti strumenti giuridici e ottenere l’appoggio e la visibilità della stampa. In più, la loro lotta ha fatto da detonatore per mettere in crisi il rapporto fra stato, multinazionali e popolazioni tradizionali, che per la prima volta prendono coscienza dei propri diritti e del proprio potere, riuscendo come mai prima a discutere le prorpie istanze da una posizione privilegiata, impedendo la costruzione di un megaprogetto devastante.
Ecco perchè quando il presidente dell'Assouwa Gilberto Cobaria parla di levantamento, vuol dire solo una cosa: che sta succedendo qualcosa di grave.
I MEGAPROGETTI
I megaprogetti di cui parla sono principalmente tre. La colombiana Ecopetrol non ha mai smesso di proseguire con le attività estrattive. Pur sfiorando il resguardo, vi entra sotterraneamente. Il nuovo Gibraltar 3 si trova in un luogo considerato sacro. Si parla della costruzione di un gasdotto.
Il secondo progetto è la costruzione di un'autostrada che dovrebbe segare in due il territorio U'wa: è la carretera binacional fra Venezuela e Colombia. Infine, il Parco Nazionale del Cucuy.
Per noi Parco nazionale sa di buono. Non in Colombia, dove un progetto di “ecoturismo” prevede un ampliamento del Parco nel territorio U'wa. Il Cucuy è il cuore del territorio, la parte più sacra. Secondo gli U'wa, non si può nemmeno calpestare. Secondo il governo, ci si dovrà costruire una funivia.
“Questi progetti si portano dietro la militarizzazione del territorio. Uomini armati attraversano continuamente il nostro territorio con i loro pensieri di morte”, spiega Daris.
L'Asouwa, la associazione delle autorità tradizionali, rimarca che la posizione degli U'wa è: no alle perforazioni, no all'estrazione di qualsiasi ricorso naturale, no alla violazione del territorio ancestrale. La campagna internazionale “La cultura con principios no tiene precio” , partita nel '96 alla prima audiencia por la vida chiasmata dagli U'wa, continua il suo cammino.
Il nostro viaggio prevedeva l'appoggio politico agli U'wa, ma anche pogetti con le donne: la costruzione di una sartoria e una farmacia indigena a Cubarà. “I fratelli U'wa che vivono qui o che arrivano in città per barattare il cibo o le chakara (le borse di fibra, bisacce di valore culturale e spirituale), hanno bisogno di trovare i loro medicamentos. Sono anche aumentati i morsi di serpente: servono l'antidoti, che sono costosi”. Forse siamo suggestionati, forse la magia di questo popolo è vera, forse noi l'abbiamo solo sepolta da qualche parte. Ma facciamo uno strano collegamento: i morsi dei serpenti che aumentano. Il pozzo Gibraltar 3, nella vereda Cedeña, ha violato il luogo per la cura delle malattie. In particolare, dei morsi dei serpenti.
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