Yaku vuol dire acqua nella lingua di uno dei popoli più antichi dell’America Latina, i Quechua.
Idioma di rara bellezza, le sue parole mescolano suono a significato.
In Yaku c’è l’acqua che scorre.
Yaku, perché la nostra storia inizia nella cultura andina e insieme alle lotte sociali che i popoli della Cordigliera da sempre portano avanti in nome della Pachamama, la Sacra Madre Terra, e che oggi hanno tradotto in una alternativa e concreta proposta politica.
Yaku perché stiamo vivendo un tempo in cui l’accesso all’acqua, per milioni di persone, è messo in pericolo dalle logiche economiche distruttive del neoliberismo selvaggio.
Yaku perché la difesa dell’acqua è difesa della natura, della giustizia, del diritto alla vita.
Abbiamo iniziato più di sette anni fa condividendo con le comunità indigene latinoamericane alcune importanti battaglie per la difesa dei beni comuni e dei diritti sociali.
E’ iniziato così un percorso di cooperazione, conoscenza e resistenza: in Ecuador contro le multinazionali del petrolio e la costruzione dell’Oleodotto Ocp, per la salvaguardia delle foreste e delle culture amazzoniche; in Colombia assieme al popolo U’wa calpestato dallo sfruttamento petrolifero; in Argentina per la lotta contro l’impunità a fianco delle Madri della Plaza de Mayo e con i cartoneros di Buenos Aires; in Bolivia ad Achacachi, con il popolo Aymara e i movimenti sociali per la riappropriazione delle risorse energetiche saccheggiate dalle multinazionali, e a Chilimarca, nei pressi di Cochabamba, seguendo per un anno un progetto di cooperazione alternativo in cui otto comunità indigene e contadine hanno attuato metodi orizzontali di partecipazione e inclusione che ci porteremo dentro per sempre.
Noi, che insieme abbiamo fondato Yaku, proveniamo da queste esperienze, ciascuna delle quali è stata preziosa occasione di condivisione con donne e uomini in lotta non solo per se stessi ma per la difesa di un principio comune.
Ci ispiriamo ai valori espressi dalla “Guerra dell’Acqua” di Cochabamba. Ciò che accadde nel 2000 in Bolivia fu un evento che ha segnato una svolta epocale nella nostra storia contemporanea: dopo anni di progressiva privatizzazione delle risorse idriche del pianeta da parte di imprese multinazionali, il popolo boliviano riesce ad affermare il suo diritto all’accesso all’acqua. Mesi di mobilitazioni e finalmente la cacciata del consorzio multinazionale Aguas del Tunari, controllato dalla statunitense Bechtel e dall’italiana Edison, gridando ad un mondo dormiente e sotto lo scacco neoliberista che un futuro diverso era possibile e riaffermando con orgoglio il principio millenario andino per cui “l’acqua è di tutti e di nessuno”.
Da quel momento numerose forze sociali in ogni parte dell’America Latina, Europa, Africa si sono attivate per difendere l’acqua come “bene comune”. Ma la battaglia di Cochambamba non è stata solo per la difesa dell’acqua.
Lo abbiamo capito dopo un anno di lavoro a fianco della Coordinadora en Defensa del Agua y la Vida.
Nel corso di questa lotta comprendemmo molte cose: che le forme tradizionali d’organizzazione erano state sorpassate dalla gente, che questa mobilitazione aveva determinato la nascita di nuove voci, nuove organizzazioni nei quartieri, nella campagna e una sorta d’orgoglio dei giovani di essere stati artefici e aver reso possibile una storia che è una vittoria importante. [Oscar Olivera]
La Coordinadora, nata durante la guerra dell’acqua, a cui partecipano rappresentanti dei regantes – gli antichi gestori comunitari dell’acqua - sindacalisti, comitati di base e attivisti, adesso continua il suo percorso.
Partendo dall’acqua e dai beni comuni abbiamo iniziato a capire che il valore di qualsiasi battaglia si misura sulle relazioni sociali che esprime e sul rapporto di fiducia che ispira tra le persone.
Nulla o poco cambia se i mutamenti sociali non partono dal basso. Se a qualsiasi tipo di leadership non si contrapponga la volontà delle comunità locali, se a qualsiasi tipo di potere non si possa opporre un non-potere orizzontale, se qualsiasi forma di rappresentanza non sia bilanciata dal controllo e dalla partecipazione della gente.
Per questo ci riconosciamo nello spirito comunitario e partecipativo delle comunità indigene e nella pratica orizzontale della Coordinadora del Agua y la Vida.
In questo impariamo da loro. E’ un percorso lungo, di continuo confronto.
Yaku nasce adesso.
Marzo 2007