*Presidente – FFOSE, CNDAV – Red VIDA Uruguay
Quando negli anni ’90 si cominciò a criticare lo Stato, a sollevare la questione di “razionalizzare lo Stato” e combatterne le inefficienze, i cittadini appoggiarono questa campagna comprendendo che si dovevano fare le riforme per renderlo più agile e migliorarlo.
Allora, non si percepivano le cause reali, che di fatto si riducevano ai limiti imposti dalle privatizzazioni e alle ondate di discriminazione sociale dei grandi capitali verso le fasce sociali meno visibili.
Nello Stato uruguayano la prestazione dei servizi pubblici è una cultura e una concezione di carattere sociale che non ammette l’idea di una gestione mercantilista da parte dei capitali transnazionali.
L’Uruguay è un paese caratterizzato da una grande partecipazione politica, un paese che ha avuto vari momenti della propria storia segnati da importanti iniziative democratiche in difesa dei diritti.
Nel 1992 (dopo la dittatura militare) si cominciò con i referendum popolari in contrapposizione ai disegni dei governi neoliberali che promuovevano una serie di leggi ed azioni tese a disarticolare tutto ciò che proteggevano le imprese pubbliche.
È così che dietro la questione delle “unità regolatrici” di carattere più tecnico che avrebbero dovuto “dirimere i conflitti tra i diversi erogatori di servizi”, e al di là dei contenuti di alcune proposte che racchiudevano l’idea di una regolamentazione, in realtà si intendeva “deregolamentare” tutto perché i grandi capitali delle multinazionali potessero penetrare senza alcuna limitazione e controllo nella gestione delle infrastrutture, proprietà di tutti gli uruguayani.
In realtà nessuno poteva concepire che il settore dell’acqua potabile e le acque di tutto il nostro Paese potessero essere privatizzate, dal momento che il 99% della popolazione accedeva ad acqua potabile di qualità direttamente dai rubinetti di casa. E quindi il motivo della richiesta di capitali transnazionali non era la causa tecnico-politica tanto sventolata di necessari investimenti sanitari, che non erano più del 45%: loro verranno a investire in infrastrutture per realizzare il risanamento tanto sperato.
OSE (opere sanitarie dello stato uruguayano), è stata creata dalla legge 11907 nel 1952, dopo che gli Inglesi pagarono il loro debito estero con carne, tram e attraverso il controllo per più di un secolo di Aguas Corrientes.
Il nostro sindacato FFOSE, nato parallelamente alla costituzione di questa compagnia inglese, compie adesso 60 anni di storia.
Oggi siamo 4500 lavoratori del settore “acqua potabile” che si occupano dell’intera rete di raccolta, produzione e distribuzione di acqua potabile in tutto il Paese.
Abbiamo nella nostra organizzazione pubblica una visione del servizio che “antepone le ragioni sanitarie a quelle economiche” (articolo 3 della carta Organica dell’ente). La popolazione per tutti i lavoratori dell’acqua è “consumatrice” del servizio e mai è stata considerata “cliente”, termine caro alla corte neoliberista.
Nel 1992 i primi processi di privatizzazione in Uruguay si realizzarono nelle zone più redditizie dal punto di vista sociale ed economico. Ed è stato così che è stata ceduta ad “Aguas de la Costa – Aguas de Barcelona – Suez” la parte Est del fiume Maldonado nella regione che prende il suo stesso nome, e nel 2000 tutta la regione è stata consegnata nelle mani di URAGUA (Aguas de Bilbao, Spagna).
I lavoratori e le comunità locali hanno resistito 5 anni prima della privatizzazione del 2000.
Nel 2002 insieme all’intera popolazione uruguayana abbiamo creato un grande fronte di lotta che abbiamo chiamato CNDAV (Comisión Nacional en Defensa del Agua y La Vida) e abbiamo promosso una Riforma Costituzionale che dichiara “il diritto umano all’acqua”, “il controllo pubblico dell’acqua”, e che “i consumatori e la società civile parteciperanno in tutte le istanze di pianificazione, gestione, e controllo della Politica Nazionale dell’acqua”.
Il 31 di ottobre del 2004, il 64% del popolo uruguayano ha votato alle elezioni nazionali l’inclusione di questa riforma all’articolo 47 per la difesa dell’ambiente.
E’ stata un’esperienza meravigliosa l’appoggio e l’appello del popolo per unirci tutti in difesa della vita.
La spontaneità e la ricchezza del movimento è stata nella libertà della partecipazione e nella orizzontalità con cui ci siamo organizzati.
Il messaggio è semplice: permetteremo che i nostri beni comuni, le nostre risorse alimentino ogni volta la voracità delle grandi multinazionali?
Acqua per la vita o per lo sviluppo del capitale?
Questa esperienza ha segnato molto intensamente la mia vita, quella del mio sindacato e della mia famiglia. Crediamo fermamente che l’unica via sia quella di mantenere viva questa idea ostinata che qualcuno si salverà dalle sofferenze della nostra terra.
Queste lotte in tutte le parti del mondo fanno parte di un grido, quello di “umanizzare” l’umanità. E in questo è coinvolto ognuno di noi.
Sono una lavoratrice dell’acqua in Uruguay da circa 23 anni. Sono nata vicino al fiume Santa Lucia dove si trova l’impianto di potabilizzazione più grande del Paese. I miei due nonni, materno e paterno, sono stati lavoratori dell’acqua nella compagnia inglese. Da loro ho imparato l’amore per questo piccolo popolo e per questo processo che approvvigiona d’acqua quasi due milioni di persone.
La mia condizione di donna molte volte mi ha messo in situazioni difficili in questi anni, però niente mi toglierà la voglia di lottare per la costruzione di un “mondo altro” per i nostri figli, le nostre donne, i nostri padri.
“Induriamoci senza perdere la tenerezza” ci ha detto il Che.
Versione originale in castigliano
Cuando en los años 90 se comenzó a desprestigiar al estado, el discurso de “achique del estado” y sus ineficiencias, la propia población apoyo este discurso entendiendo que se debía hacer reformas para agilizarlo, mejorarlo.
No se veía en ese momento que eran los umbrales de los impactos de privatizaciones y oleadas de discriminación social, del gran capital hacia las poblaciones mas sumergidas.
En el estado uruguayo la prestación de los servicios públicos es una cultura y concepción de carácter social que no admite la concepción mercantilista del manejo de estos por capitales trasnacionales.
Un país con gran participación política, tuvo en varios tiempos de la historia demostraciones de compromiso democrático con la defensa de estos derechos.
En el año 1992, se comenzó (etapa post dictadura militar) con los referéndum populares en contraposición a los diseños de los gobiernos neoliberales que promoverían una serie de legislaciones y acciones para desregular todo lo que protegía estas empresas públicas.
Es así que bajo el discurso de “unidades reguladoras” “de carácter más técnico que “dirimieran conflictos entre diversos prestadores”, era algunos de los contenidos de estas propuestas que encerraban un discurso de regular, cuando lo que verdaderamente se hacía era “desregular” todo para que el gran capital multinacional entrara sin ningún tipo de restricción y control a gestionar las infraestructuras pagas por todos los uruguayos.
Particularmente, en el sector del agua potable, y en las aguas en general de todo nuestro país, nadie concebía que fuera privatizada, ya que el 99% de la población accedía a agua potable de calidad, pasible de consumirse desde el grifo. No siendo así la inversión en saneamiento, que era de no más del 45% y principal argumento técnico – político del llamado a los capitales transnacionales. “Ellos vendrían a invertir en infraestructura para realizar el saneamiento tan esperado”.
OSE Obras Sanitarias del Estado Uruguayo, fue creada por la Ley 11907 en el año 1952, luego que los ingleses pagaran su deuda externa en carnes, con los tranvías y la Cía. de Aguas Corrientes, gestionada por ellos por mas de un siglo.
En esa compañía, nuestro sindicato FFOSE tiene 60 años de historia, desde que se conformó en la propia compañía inglesa. Hoy somos 4500 trabajadores del sector de agua potable que atendemos todas las áreas de captación, producción, distribución del agua potable para todo el país.
Tenemos en nuestro organismo público una visión social del servicio, que “antepone las razones higiénicas sobre las económicas” (artículo 3 de la Carta Orgánica del Ente).
La población para los trabajadores del agua es “usuaria” del servicio y nunca aceptamos la condición de “cliente” promovida por las visiones de corte neoliberal.
Cuando desde el año 1992 se comenzaron a implementar procesos de privatización en el Uruguay, se alojaron por supuesto en las zonas más rentables desde el punto de vista social y económico. Y fue así que en el 1992 se entregó el este del arroyo Maldonado en el departamento que lleva su nombre (Aguas de la Costa – Aguas de Barcelona – Suez) y en el 2000 todo el departamento en manos de URAGUA (Aguas de Bilbao – España).
Los trabajadores y las poblaciones locales resistimos 5 años a la privatización para que en el 2000 finalmente fuera entregada.
En el 2002 con toda la población nacional, creamos un gran frente de lucha que llamamos CNDAV Comisión Nacional en Defensa del Agua y La Vida y promovimos una Reforma Constitucional que declarara el “derecho humano al agua” y el “dominio publico del agua”, así como a rango constitucional definir que “los usuarios y la sociedad civil participarán en todas las instancias de planificación, gestión, y control de la Política Nacional de Aguas.
El 31 de Octubre del 2004, el pueblo uruguayo votó en las elecciones nacionales, por un 64,7 de la población incluir este agregado al artículo 47 del medio ambiente.
Realmente fue una experiencia maravillosa, lograr este apoyo y esa convocatoria del pueblo para unirnos por la defensa de la vida.
La espontaneidad y riqueza del movimiento estuvo en la libertad con que se dio en la participación y la horizontalidad con que nos organizamos.
También el mensaje era y es sencillo: nuestros bienes comunes, nuestros recursos naturales, ¿permitiremos que alimenten cada vez más la voracidad de las grandes transnacionales?
¿Agua para la Vida o Agua para el desarrollo de más capital?
Esta experiencia ha marcado muy intensamente mi vida, la de mi sindicato, la de mi familia. Creemos firmemente que es la única forma de detener la tozuda idea de que alguien se salvará de lo que nuestra tierra está padeciendo.
Estas luchas en todas partes del mundo, forman parte de un grito de “humanizar” a la humanidad. Y en esos estamos cada uno de nosotros.
Soy una trabajadora del sector de agua potable en el Uruguay, que tengo 23 años en el organismo. Nací junto al río Santa Lucía donde se encuentra la plata potabilizadora de agua más grande del país. Mis dos abuelos (materno y paterno) fueron trabajadores del agua en la compañía inglesa y de ellos aprendí el amor por ese pequeño pueblo y ese proceso que abastece casi 2 millones de personas.
Mi condición de mujer muchas veces me ha puesto en difíciles situaciones en estos años pero nada me quitará las ganas de luchar por la construcción “de otro mundo” para nuestros niños, nuestras mujeres, nuestros viejos.
“Endurecernos sin perder la ternura” nos dijo el Ché.