Il corteo degli impagabili, il corteo tutto gratis, o meglio autofinanziato, aveva pensato a molte cose, molti slogan e cartelli, e volantini e bande musicali e coreografie, elementi comici, piccole sceneggiate; ma non al palco. Una volta arrivato il corteo in Piazza Navona, il palco non esisteva: né uno grande come quello usato nelle stesse ore nell’altra piazza dalla superstar che doveva esibirsi, né piccolo, una cassetta su cui salire, o poco più, come si conviene a chi parla da vicino, per informare e convincere, per discutere con persone simili a lui... Così è entrato in piazza il camion che apriva il corteo e mentre il corteo stesso era ancora a metà, sono cominciati i discorsi. Va detto che lo slogan sul camion e quindi in testa all’intera manifestazione era uno ben noto: «Ripubblicare l’acqua/ difendere i beni comuni». Ma sopra lo striscione era incollato un foglio alla buona, una specie di aggiunta, per non dire una correzione, dovuta forse a una mano clandestina: «Acqua pubblica e antifascista». Sono stati in molti a parlare, a partire dai sindaci che aprivano il corteo, con le fasce e i gonfaloni di prammatica. Era importante testimoniare la democrazia: gli eletti erano in sintonia con la loro base, avevano viaggiato insieme e il sindaco era quello che parlava per tutti, arrampicato sul camion. Così ha parlato Battisti, il sindaco toscano di Anghiari che in questa fase ha un po’ il ruolo di portavoce per i colleghi e ha lamentato il fatto che l’acqua del suo comune ormai è stata sottratta alla città, ma occorre fare di tutto per riconquistarla. Hanno parlato sindaci dell’agrigentino, dove la lotta per l’acqua, ogni giorno, è davvero durissima. Ogni discorso durava due minuti, massimo tre, ma l’argomento era chiaro, senza fronzoli, completo. E il pensiero andava sempre all’altra piazza, quella dei discorsi lunghi, fatti dal capo, ai seguaci ossequienti. Quando ha parlato Cinzia del Dal Molin vi sono stati applausi scroscianti. «Il sindaco di Vicenza, il mio sindaco, non ha creduto di dover venire e quindi parlo io, consigliera comunale. Con la base americana, strappano una parte viva, centrale, della città. Una parte grande, situata sopra la terza falda acquifera d’Europa, in ordine di grandezza. Tutto il Veneto beve di quell’acqua. Oggi sono già stati conficcati quattromila pali di cemento e la falda è intaccata, forse senza rimedio». Un problema non solo di Vicenza, non solo veneto, un problema di tutti che mette insieme lotta per difendere la pace, difesa del territorio della città, controllo dell’acqua: i problemi universali. I discorsi importanti non erano solo dal palco, sia pure improvvisato, un palco-camion che più democratico non si può. In piazza abbiamo sentito Moni Ovadia, intervistato da una televisione: «Prendere la loro acqua significa rendere schiave le persone, perché è costringerle a un bisogno assoluto, a una completa dipendenza; è appunto costringerle a inchinarsi e a obbedire... Privatizzare l’acqua è come privatizzare il creato, e privatizzare il creato non si può, è un abominio. Il valore umano prioritario è l’uguaglianza, il valore dei valori. Occorre dare battaglia per difendere l’uguaglianza, quando essa viene messa a rischio; oppure per conquistarla quando se ne è privati. Oggi la prima e immediata battaglia per l’uguaglianza è la battaglia per l’acqua, l’acqua di tutti». Nel corteo c’è padre Zanotelli, Alex nel movimento dell’acqua. La sua dichiarazione fa il giro delle agenzie ed è molto significativa, molto politica: «Se nei prossimi mesi riusciremo a raccogliere le firme necessarie per far svolgere i tre referendum contro la privatizzazione dell’acqua e poi riusciremo anche a vincerli, sarà il primo colpo che verrà dato alla privatizzazione che per ora sembra purtroppo vincere in tutto il mondo. A farne le spese sono come sempre i poveri e i deboli; e se le cose continueranno così credo che ci saranno anche 100 milioni di morti per mancanza di acqua nel Sud del mondo». La pedagogia dell’acqua passa soprattutto da gruppo a gruppo, da persona a persona: slogan cantati in coro, o invenzioni umoristiche e satiriche, sono insegnamenti profondi ed efficaci che corrispondono a un intero corso accelerato di politica e di cultura dell’acqua. Gli esempi sono sempre nuovi: il movimento è creativo, anche in una manifestazione che si svolge dopo oltre un anno di crisi economica e di disastro sociale. Il più forte è calato dalla muraglia che sovrasta la classica Via Cavour dei mille cortei. «Acqua terra libertà/la lotta è il nostro bene comune». Nel corteo vi è una versione un po’ diversa: «Acqua terra, beni comuni/ ribellarsi è giusto». Sul versante opposto, un tema ironico contro le multinazionali e in genere i «Padroni del mondo», che dice così: «Paroni del mondo/Gavì tocà il fondo». Poi torna la politica, amara, con un cartello che osserva: Sindaco svegliati/ l’acqua non è più tua», con un codicillo: «e neanche dei cittadini». Più in là un gruppo di giovanissimi ha trovato la rima giusta, la giusta cadenza e canta: «Acca-due-o/ privata non si può». Anche la chimica vien buona a volte e aiuta la formazione in politica. Poi c’è una scritta minacciosa e ferma, molto ripetuta nel corteo e che forse diventerà un classico: «Giù le mani dalla brocca/ l’acqua è nostra e non si tocca» e un’altra, più insinuante ed esperta: «Non ce la date a bere/con i giochi di potere». Con una discreta inventiva, c’è chi si è travestito da rubinetto che perde; altri sono trasformati in gocce di acqua, molti hanno le facce colorate. Il colore di riferimento è il blu, anche se non mancano il viola di moda, il sempiterno rosso e il verde degli ambientalisti. E’ il blu dell’oro blu, quello che ci vogliono rubare. Il corteo scorre a lungo: è grande, ricco, di episodi allegri e commoventi, di carrozzine e di musica, di giovani esordienti e di amici perduti-di-vista che si incontrano di nuovo in occasione dell’acqua, della nuova battaglia di civiltà. E’ una promessa reciproca: nessuno si tira indietro, nessuno rinuncia, per gli insuccessi. Tutti con ragionevole pessimismo, tutti con molta voglia di fare.