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Il cosiddetto “masacre de El Porvenir”, nella sua drammaticità, racconta molto della Bolivia. Della sua indole rivoluzionaria. Delle sue battaglie civili. Dei suoi lutti.
E’ un evento storico forte – una strage di contadini – che è anche un ideale spartiacque del percorso politico di un Paese, il più povero dell’America latina, che fino a qualche anno fa in pochi sapevano esistere se non quelli che ne sfruttavano avidamente le ricchezze naturali. E che è diventato il simbolo del cammino verso il futuro del continente desaparecido.
L’11 settembre scorso una banda di paramilitari dell’ultima ora, agli ordini del prefetto Leopoldo Fernandez della regione del Pando – una delle cinque regioni che pretendevano l’autonomia – ha teso un’imboscata ad una colonna di contadini che si recavano ad una riunione della propria confederazione. Stavano attraversando la foresta pluviale della loro terra quasi amazzonica assieme a donne e bambini e a qualche animale, per giungere alla cittadina di El Porvenir. Sono stati attaccati con mitra e pistole e trucidati. I morti accertati sono stati subito 30, oltre 100 sono rimasti dispersi per molte settimane. Ad oggi la stima dei caduti è ancora incerta.
Una strage senza precedenti, quella de El Porvenir, nonostante la storia della Bolivia parli di migliaia di morti in scontri civili e contro i vari eserciti agli ordini di vari dittatori. Non solo per la brutalità, ma anche perché ad uccidere i contadini del Pando c’erano altri boliviani. Giovani esaltati che rispondevano ai governatori regionali di destra, oppositori del governo Morales. Galvanizzati, caricati da mesi e mesi di campagne razziste dove si tornava a dire, come nel secolo passato, “morte agli indios”. Di colpo, le fazioni avverse al presidente boliviano aymara Evo Morales tornavano a sbandierare la propria supposta superiorità di blancos e cambas – i bianchi delle terre d’Oriente, discendenti dei conquistadores – rispetto ai kollas, indigeni degli altipiani andini. Il maggio scorso le regioni di Santa Cruz, Tarija, Beni, Pando e infine anche Chuquisaca, avevano proclamato la secessione dal governo centrale ed indetto proprie costituzioni e, purtroppo, anche propri eserciti. Che, riuniti nella “Junion Juvenil” e spesso addobbati di stemmi nazisti, erano stati caricati come bombe ad orologeria. E fatti esplodere.
Ma El Porvenir è stato diverso da altri sanguinosi accadimenti anche per quello che è successo dopo: pronta la reazione del presidente Morales, che evitando di mandare l’esercito armato riesce ad arginare la guerra civile. Pronta la solidarietà di tutti i Paesi latinoamericani – salvo la Colombia di Uribe e il filostatunistense Perù – che riuniti nell’Unasur si danno appuntamento in Cile ed avvertono gli USA di non intromettersi ulteriormente (all’indomani, l’ambasciatore Usa Philip Goldberg viene considerato “persona non gradita” in Bolivia ed espulso). Una alzata di scudi mai vista contro gli USA che di fatto interrompe la lunga stagione del patio trasero - il giardino ricco di petrolio, di minerali e metalli, di gas naturali, di terra fertile e di mano d’opera per secoli a disposizione degli Stati Uniti, che è stata l’America latina – e profila un nuovo equilibrio americano. Tutti a difendere la Bolivia e il suo cammino verso la democrazia, incarnato dal primo presidente indigeno della sua storia e lanciato verso l’approvazione popolare della Nuova Costituzione, il prossimo 29 gennaio.
L’11 settembre boliviano dunque, come l’acmè di una parabola politica: un decennio straordinario di un Paese straordinario, che da ultimo del proprio continente si conforma come laboratorio democratico e sociale ed elabora una nuova dottrina economico politica: no al neoliberalismo, si alla difesa dei beni comuni, così come le stesse culture indigene insegnano.
Una evoluzione democratica di cui possiamo leggere i passi nel decennio 2000 – 2009 e che parte idealmente con la Guerra dell’Acqua di Cochabamba, nell’aprile del 2000: la popolazione boliviana – per il 60% indigena, per il 50% sotto la soglia della povertà – è la prima al mondo a battere lo strapotere di una multinazionale, la statunitense Bechtel, che ne stava privatizzando l’acqua e anche la pioggia. L’immagine di Oscar Olivera Foronda, vociero della Coordinadora de Defensa del Agua y la Vida di Cochabamba – il coordinamento cittadino che si forma all’indomani della Guerra dell’Acqua – che si affaccia alla terrazza dell’edificio dei fabriles, la storica sede del sindacato operaio nella Plaza 14 Septiembre, e strappa il contratto con Aguas del Tunari, la società boliviana in mano al cartello di multinazionali straniere che aveva privatizzato l’acqua, è passata alla storia: “Quando la Bechtel se n’è andata, abbiamo capito che il nostro compito non era finito – racconta Oscar – ma appena cominciato”. Questo cammino verso l’autodeterminazione infatti prosegue: con la Guerra del Gas, nel 2003, con l’elezione del primo presidente indigeno Evo Morales nel 2005, con le storiche marce contadine ed indigene che hanno attraversato il Paese in lungo e in largo per chiedere più terra, meno analfabetismo e povertà; per il referendum revocatorio che il 10 agosto 2008 rinnova il consenso alla politica del cambio di Evo Morales e lo acclama con il 67% di voti. Passa per le oltre 30 vittime civili del suo biennio governativo. E arriva fino al gennaio 2009: la Bolivia voterà con un referendum popolare la sua Nuova Costituzione.
Approvata dall’Assemblea Costituente nel dicembre 2007, non condivisa da molti movimenti sociali, cambiata in corso d’opera con operazioni spesso non chiare, la Nuova Costituzione è comunque il risultato di tante battaglie civili, di tante lotte in nome dei diritti ancestrali delle popolazioni indigene, della difesa dei beni comuni come l’acqua e la terra, del riscatto di cinque secoli di silenzio e sottomissione. Non risponderà a tutte queste aspettative. Ma, come dicono loro, quelli che “de pie, nunca de rodillas” (mai sulle ginocchia, sempre in piedi: il motto degli aymara, gli antichi abitanti delle Ande, mentre fronteggiavano l’esercito in difesa del proprio gas; ma anche di tutti quelli che “dal basso” hanno contribuito al cambiamento dello status quo), la democrazia, la politica, il mondo intero, è un processo, è un divenire. Pachacuti, lo chiamano: il cambiamento rivoluzionario dell’esistente.
La riappropriazione dei beni – la terra, le risorse del sottosuolo, l'acqua – e della loro gestione, è stata una delle bandiere della grande onda rivoluzionaria dei movimenti sociali boliviani. In tutte le "guerre" citate, il controllo sociale dal basso prendeva il sopravvento su quello legale – ma illegittimo – dello Stato vigente: le dittature militari o neoliberali dei vari presidenti Hugo Banzer, Sanchez de Lozada, Carlos Mesa. Lottava per la difesa di diritti inalienabili, quali l'accesso all' acqua o allo sfruttamento del proprio gas, di cui la poverissima popolazione boliviana non aveva mai potuto beneficiare pur possedendo un bacino idrocarburifero di immense dimensioni (lo 0,4 % di quello mondiale, secondo solo a quello del Venezuela). Lo sforzo della gente "sencilla e trabajadora" (semplice e lavoratrice), convogliata nei movimenti indigeni, operai, contadini, studenteschi, aveva come obiettivi non solo il recupero della sovranità popolare e il superamento del modello neoliberale, ma, più in profondità, l'elaborazione e l'attuazione di un nuovo sistema di relazioni sociali. Di un nuovo "ordine". Una speranza non solo della gente boliviana, ma di gran parte del mondo che assisteva ai fatti col fiato sospeso.
La forza e l’attualità rivoluzionaria di un evento come la Guerra dell’Acqua la vediamo ogni giorno: l’America latina sfrutta quella spinta innovatrice e fa passi avanti: nel 2004 l’Uruguay, con un grande plebiscito, fa dell’acqua un diritto costituzionale e manda a casa la francese Suez (attraverso Aguas de Barcelona) e la spagnola Aguas de Bilbao. In Colombia in settembre sono state consegnati milioni di firme per un referendum per il diritto all'acqua.
L’Ecuador festeggia la sua neonata Costituzione, dove l’acqua è diritto umano e l’ambiente gode degli stessi diritti delle persone. E il 21 settembre scorso a Malmoe è stata finalmente fondata la rete Europea dei Movimenti per l’Acqua e sottoscrivere i principi comuni nel manifesto di Malmoe. Da noi, in Italia, la tendenza istituzionale è invece contraria: privatizzano l’acqua e beni comuni come il diritto allo studio – l’approvazione della legge 133 comma 23, avvenuta il 6 agosto scorso mentre l’Italia era in vacanza, apre alle privatizzazioni ed obbliga i comuni a rimettere sul mercato le proprie reti idriche entro il 2010 – ma i movimenti sociali si sono organizzati nella piattaforma comune del Forum italiano dei Movimenti per l’acqua e danno battaglia.
El Porvenir ha segnato il picco della strategia della tensione orchestrata dai partiti oppositori di destra che, contrapponendo la Bolivia ricca a quella indigena, ha tentato di spaccare il Paese. E’ stato come una corda che si è spezzata, l’esplosione delle contraddizioni di un Paese indigente ed orgoglioso che comunque da sempre influenza la politica dell’intero continente latinoamericano. “Es el corazon de Latinoamerica”, ti dicono sempre i boliviani, “è il cuore dell’America latina”. In effetti , la Bolivia è il centro geografico dell’america del Sud. E con i suoi battiti, sembra ritmare la vita fino Ande, e molto oltre.