Ieri la Marmolada, regina delle Dolomiti, ha ospitato un incontro speciale, interamente dedicato alle montagne, all’acqua, alla salvaguardia del patrimonio naturale e alle popolazioni che si battono per difenderla, in primis quelle indigene. Un incontro per metà festa per metà riflessione, ma anche teatro eccezionale per lanciare forti denunce contro politiche miopi e voracità economiche. E per recuperare assieme quella sacralità che noi tutti percepiano e di cui abbiamo quasi paura a parlare.
E sacralità, ieri in Marmolada, ce n’era tanta.
Al Rigugio Pian dei Fiacconi, con il ghiacciaio della Marmolada alle spalle con le falesie grigie per le nubi basse e le grolle agitate; il gruppo del Sella che ci fissava negli occhi imperioso, un tribunale naturale. E il Sasso Lungo, lontano, proteso.
Associazioni montane internazionali e nazionali – Cai, Sat, Mountain Wilderness, Cipra - assieme a chi difende l’acqua – associazione Yaku, cha ha ricordato la consegna in cassazione, questa mattina, delle firme in appoggio al referendum per l’acqua pubblica (1.200.000, di cui 11 mila dal Trentino) – e ad escursionisti, si erano dati appuntamento per festeggiare la Marmolada, simbolo delle montagne del mondo. L’occasione era condividere la vittoria ottenuta da Mountain Wilderness nel processo contro la società funiviaria, condannata in modo definitivo dalla Corte di Cassazione (22 aprile) per i danni portati al ghiacciaio; riproporre all’attenzione del mondo politico i problemi presenti in Marmolada. In vista di una riqualificazione di un territorio abbandonato ad una gestione superficiale e che specialmente in Veneto porta vantaggi solo ad una ristretta cerchia di imprenditori.
Ma anche e soprattutto, riflettere assieme. Sacralità ieri in Marmolada ce n’era tanta anche perché c’era chi la voce della Madre Terra l’ascolta ancora, e ne fa la linea di direzione attorno a cui costruire nuove politiche, nuovi linguaggi, nuove posture d’equilibrio fra uomini ed ecosistema.
Ospiti d’eccezione erano infatti i rappresentanti del popolo colombiano U’wa: Berito Kuwaria, e Daris Cristancho, rispettivamente capo spirituale e rappresentante delle donne della loro gente, sono stati gli emissari della voce più profonda del nostro piantea “troppo ferito, troppo dolente, troppo ipersfruttato da chi pensa di poter convertire in merce qualsiasi cosa”. Invitati in Italia dall’associazione Yaku, che condivide con loro un percorso di salvaguardia delle popolazioni indigene colombiane e che in Trentino cura la rassegna “Dalle Ande alle Alpi, genti di montagna in difesa dell’acqua”, fanno parte di una delegazione che assieme al filosofo ed attivista Danilo Urrea sta girando il Paese per denunciare la situazione di pericolo cui il popolo U’wa sta versando, nella Colombia del nuovo presidente Santos che sulla linea del predecessore Uribe implementa aggressive politche estrattiviste a discapito di contadini ed indigeni. Con il rito cantato da Berito, che è depositario della cultura orale degli U’wa, sono state tracciate “le linee di connessione con gli altri ghiacciai del mondo, che per noi sono il Mundo Blano, dove risiede la parte spirituale più forte della Terra, e che da noi sono sacri”. Gli U’wa stanno cercando di difendere il loro ghiacciaio– quello andino del Cocuy – da megaprogetti che lo vorrebbero con funivie e depredato delle materie prime sottostanti. Elementi che trovano eco nelle parole di Gigi Casanova, referente di Cipra e MW, che gridavano l’indignazione del gruppo del Sella escluso dalle Dolomiti patrimonio dell’Umanità, e del prossimo appuntamento, nell’aprile del 2011, nel quale le cinque le province coinvolte dovranno decidere della gestione delle aree dolomitiche, “esul quale noi non transigeremo, in difesa della Marmolada, delle montagne di tutto il mondo, della vita stessa”.
Il popolo U’wa è l’ apoteosi di una tragedia che ci coinvolge tutti. La nostra dipendenza dal petrolio ha innescato una logica distruttiva che travolge l’ambiente e di conseguenza le popolazioni che dipendono più strettamente da esso. Una logica che ora prosegue con lo sfruttamento delle risorse idriche e che è connesso con la depredazione delle montagne e del loro equlibrio. Ma il popolo U’wa vive e ci ricorda in che direzione andare.