“Io devo stare attento a tutto: se si rompono i tubi, se funziona l’impianto di trattamento, che arrivi l’acqua ad ogni abitante . Ogni 15 giorni faccio il giro delle veredas (fattorie) e del mio paese, Medellin del Ariari. E’ un incarico di responsabilità. Sono un dipendente della mia stessa comunità. E ne sono orgoglioso”. Medardo è l’uomo dell’acqua, così come lo chiamano, o il fontanero.
Lo conosciamo per caso, passeggiando per le strade piene di fango di Medellin del Ariari. E’ un uomo dagli occhi buoni e le mani callose. Quando passa lo salutano tutti. E’vero che lui ha un ruolo importante. Non solo perchè si occupa di acqua. Ma perchè siamo in Colombia, nel centro spaccato del Paese.
Centro geografico, perchè siamo nella regione del Meta, che se guardi la cartina sta proprio nel mezzo. Centro nevralgico, perchè nel Meta si snodano e si incrociano i traffici e le storie forti: paramilitarismo, guerriglia, violenza di stato.
Se la Colombia è un Paese in guerra da oltre mezzo secolo, il Meta ne è un punto focale: le Farc hanno qui radici profonde – in zona dieci anni fa è stata rapita Ingrid Betancourt – e questo ha alimentato rappresaglie e scontri, sfollamenti forzati, sparizioni, assassinii: un sanguinoso testa a testa fra stato e guerriglia che ha stritolato i civili senza pietà.
Agli inizi del decennio passato arrivano in forza anche i paramilitari, al soldo dei cartelli di narcotrafficanti ma soprattutto delle grandi multinazionali. A migliaia i contadini e gli abitanti sono costretti ad abbandonando tutto: case, campi, animali, i propri morti. Dall’oggi al domani sotto la minaccia di spaventose violenze vengono espropriati delle loro terre che sono fertili e ricche di ogni ben di Dio. In particolare, delle grandi quantità di acqua di cui la regione è ricchissima, e che sono essenziali per la quella che sta diventando la prima voce del PIL colombiano: l’industria mineraria. Una macchina da soldi che sta richiamando investori da ogni parte del mondo e che, macinando quei 1000 litri di acqua al secondo che sono necessari per far funzionare le miniere a cielo aperto, si deve nutrire dei grandi fiumi colombiani. Il Ministero delle Miniere del governo quasi nuovo di Manuel Santos sostiene che esiste un potenziale minerario in ogni regione del paese e ha concesso altri 10.000 titoli minerari per una superficie totale di 43.000 chilometri quadrati, dei quali 4.000 sono già in fase di sfruttamento. Questo significa morte e distruzione, e i contadini, i popoli indigeni e i 4 milioni di sfollati della Colombia lo sanno bene. Anche a Medellin del Ariari.
Ecco perchè l’acqua è importante, in Colombia. Ecco perchè il lavoro di Medardo va più in là di quello che si possa immaginare.
C’è la Niña in questo periodo. Un fenomeno metereologico che dovrebbe raffreddare le acque del Pacifico e che invece quest’anno non ci riesce. E il risultato sono mesi di pioggia ininterrotta, i fiumi che straripano e fango ovunque. Abbiamo gli stivali di gomma e ogni passo è faticoso ed incerto, ci teniamo fra di noi per non finire impantanati dalla poltiglia. Intorno, bambini che nella poltiglia ci giocano. Sguazzano a piedi nudi nelle pozzanghere. Piove di nuovo. Viene giù una quantità di acqua mai vista. In pochi minuti rivoli che sembrano ruscelli ci arrivano alle caviglie. I bambini ci inventano un gioco nuovo.
Medardo è preoccupato perchè il Rio Ariari sta straripando e questo vuol dire che l’acquedotto comunitario è in pericolo: la violenza delle inondazioni travolge tutto. Gli acueductos comunitarios qui sono l’unica forma di accesso all’acqua. Sono strutture che la gente si costruisce mettendo i pochi soldi e le molte esperienze in comune. In Colombia, dove oltre metà della popolazione non ha accesso all’acqua, queste forme di autorganizzazione sono le uniche che permettono a circa 10 milioni di persone di poter usufruire di risorse idriche. Di più. Gli acquedotti comunitari sono vere forme di resistenza civile. Contro le piaghe endemiche di uno dei paesi più violenti al mondo, contro economie neoliberiste basate sull’ipersfruttamento del territorio, gli acueductos oppongono la loro visione, fatta di organizzazione, difesa del territorio, gestione partecipata, pace.
La stessa logica che fa proliferare guerre e paramilitarismo, impone le privatizzazioni delle risorse idriche. “Noi non potremmo mai tagliare l’acqua a chi non ha soldi, così come succede con le imprese private – ci spiega il nostro fontaniere – nè che la nostra acqua sia mal utilizzata o che il suo sfruttamento rovini la terra. Nè potremmo arrivare ad accordarci con le compagnie straniere che ci rubano la terra e si trascinano dietro questa scia di sangue e violenza”.
Ecco perchè poco prima di Natale tutte le comunità del Municipio El Castillo hanno realizzato un cabildo abierto, un tipo di confronto pubblico previsto dalla Costituzione colombiana. In questo caso, le comunità lo hanno richiesto alle istituzioni locali per difendere l’autonomia dei propri acquedotti, chiedere loro infrastrtture e frenare la corsa alle privatizzazioni. “Abbiamo detto che l’acqua è un diritto umano e deve essere di tutti. Che deve essere gestita comunitariamente. Noi siamo organizzati. Sappiamo come fare. Ci mancano i materiali e la possibilità di potabilizzare. Non abbiamo fognature e le nostre falde acquifere sono inquinate. Questo chiediamo alle nostre istituzioni”. Che ci sentono ben poco, oliate come sono dalle società private. Ma il cabildo abierto è stato un evento. C’erano centinaia di persone, donne e bambini. E tanti rappresentanti delle comunità desplazadas (sfollate), che negli ultimi tempi stanno tentando di ritornare nelle proprie terre. Grazie all’appoggio della Commissione Interecclesiastica di Justicia y Paz.
Padre Henry è un missionario clarettiano e un membro di Justicia y Paz. Da più di venti anni questa associazione si occupa dell’accompagnamento delle comunità indigene e contadine nei territori dai quali sono state allontanate con la violenza dalle organizzazioni paramilitari. Crea zone umanitarie protette all’interno delle quali le comunità possono ricominciare a vivere. Necessita di visibilità e appoggio internazionale costante, così come di operatori internazionali nei territori. Recentemente la Commissione Internazionale dei Diritti umani ha riconosciuto questa pratica come efficiente e ne sta dando atto anche a livello normativo. Come molte associazioni per i diritti umani in Colombia, Justicia y Paz vive in uno stato di assedio. E nel Meta sono proprio i religiosi a vivere sotto costante minaccia. Ma Padre Henry è un raggio di sole, vive qui da dieci anni, ha sempre il sorriso e si ha la netta sensazione che senza di lui la comunità potrebbe crollare.
Anche la piccola missione dei clarettiani è rimasta senz’acqua: le piogge si sono ingoiate l’acquedotto. E questo è un grande problema. Perchè dai missionari vanno a mangiare i vecchi del paese e anche qualche bambino. E’ l’unico punto de salud che esiste nei dintorni, una specie di primo soccorso sanitario in una zona così isolata che c’è solo un medico che passa ogni tanto. Padre Henry è stato uno dei grandi promotori del cabildo abierto. “Non si tratta solo di acqua – ci spiega – Gli acquedotti comunitari sono la linfa vitale delle comunità. Attorno all’acqua si creano gli anticorpi utili per opporsi alla guerra, per stare uniti, per costruire assieme un futuro, per uscire dal perenne status di restare vittime. Si crea una possibilità per i bambini, che qui continuano a morire di dissenteria e ora anche per i metalli pesanti che le minerias buttano nell’acqua. E’ un circolo virtuoso di cui tutti si sentono partecipi”. E se ne va nella chiesetta azzurra a preparare le novene per il Natale che, neanche a dirlo, quest’anno sono dedicate a santificare l’acqua.
Chissà che ne penserebbe Mario Antolini di Tione, di Medardo il fontanero colombiano, lui che dall’alto dei suoi 91 anni proprio poco tempo fa ci aveva raccontato della figura dei fontanari delle Giudicarie. “Ogni comunità pagava due persone per tenere puliti i rii e le fontane. Erano i fontanari. Venivano scelti con solennità fra i capifamiglia più in vista. Avevano un ruolo importante perchè dal loro lavoro dipendeva la sopravvivenza dei compaesani”. Fontanari di una volta, fontaneros di oggi, da una parte all’altra del mondo e della Storia, sentinelle della propria terra e della comunità.