Lo scorso 12 maggio, un graffiante comunicato emesso dalla CONAIE ha sancito una rottura politica con Alianza Pais ritirando l’appogio al presidente Correa.
Il motivo, la risposta negativa da parte dell’Assemblea Costituente di inserire nella nuova costituzione la richiesta irrinunciabile dell’agenda politica del movimento indigeno ecuadoriano: il riconoscimento della plurinazionalità del paese e dell’introduzione di un meccanismo di
consulta previa alle nazionalità indigene in materia di sfruttamento delle risorse nei loro territori ancestrali.
I tempi in cui l’allora presidente di CONAIE salutava nel novembre del 2006 l’elezione di Correa riconoscendolo come rappresentante e portavoce delle istanze indigene sembrano lontani anni luce.
Ma cosa è successo in quest’anno e mezzo di governo e perché le cose sono precipitate?
Partiamo da un primo controversiale dato politico: l’assenza di una rappresentanza indigena nel governo e nell’assemblea, dato che a Montecristi sono presenti solo 4 rappresentanti del partito Pachacutick, il “braccio politico” di Conaie. Questa assenza, che adesso Correa interpreta come mancanza di peso politico della proposta indigena nel paese, significa altrimenti per il presidente di Conaie. Per Marlon Santi il movimento indigeno ha sostanzialmente dato il suo voto a Rafael Correa, (non una, ma più volte: quando questo ha vinto le elezioni e poi riconfermandogli la fiducia nell’elezione degli assembleisti per l’istallarsi dell’assemblea costituente), ma adesso potrebbe ritirarlo, provocando conseguenze serie alla stabilità politica del paese. E’ quanto si capisce analizzando le ultime dichiarazioni dell’organizzazione nazionale indigena e dei suoi portavoce.
Quando nel marzo scorso Conaie promosse una grande manifestazione per le strade di Quito fino alla piazza del Governo con il fine di consegnare la sua proposta di costituzione all’assembleista Acosta, si stavano già avvertendo i primi segnali che l’incanto tra il governo e il movimento indigeno si stava già rompendo. Nonostante i toni rassicuranti di Acosta sull’apertura del governo rispetto alla posizione del movimento indigeno in tema di plurinazionalità e risorse naturali, Correa in quel momento aveva già più volte dichiarato la sua volontà di aprire il paese agli investimenti nel settore minerario: più di trecento concessioni, che coinvolgono per la maggior parte territori indigeni della Sierra e della zona amazzonica di Zamora e Morona Santiago. Si era pronunciato a favore del corridoio amazzonico Manaos- Manta nel piano di integrazione infrastrutturale dell’IIRSA e stava facendo ben poco per appoggiare la moratoria petrolifera nell’Amazzonia e nel parco Yasuni (la proposta ITT di lasciare il petrolio sottoterra nel parco Yasuni a cambio di buoni monetari internazionali) che “inspiegabilmente” non decolla nonostante l’appoggio del governo). Tutti temi controvesiali e motivo di scontro latente con il movimento indigeno, ma anche, incofessatamente, all’interno del governo stesso, dato che attualmente l’ex ministro dell’ambiente Acosta è in rotta di collisione politica col presidente, e la sua consigliera Esperanza Martinez, della nota ONG Accion Ecologica si è dimessa dal suo incarico a Montecristi.
In quel frangente dello scorso marzo, l’attuale presidente di Conaie Marlon Santi, un leader amazzonico dei Kichwa di Sarayacu, la cui lotta contro l’estrazione petrolifera è una tra le più riconosciute localmente ed internazionalmente, avvertiva che il movimento indigeno reiterava il suo appoggio al presidente Correa, ma soprattutto la sua fedeltà al volere delle comunità indigene di base, che si erano manifestate contrarie al progetto di sviluppo minerario a larga scala, alla privatizzazione dell’acqua e all’ampliamento della frontiera petrolifera.
L’agenda del movimento indigeno in questi mesi ha continuato a ribadire in modo chiaro i suoi punti fondamentali: la questione delle risorse naturali e il suo no ai megaprogetti estrattivi, alla privatizzazine delle risorse idriche, ai servizi ambientali è stato rotondo e fermo.
La tensione è andata crescendo, quando di fronte alla minaccia di Santi di un possibile
“levantamiento” indigeno contro le concessioni minerarie il governo ha cominciato a dichiarare la sua stizza verso i “leader indigeni manipolati dagli ecologisti infantili e radicali”. Insomma col passare dei mesi in Ecuador ha cominciato a venire fuori la scollatura e l’incompatibilità tra il progetto sociale sviluppista e populista di Correa improntato sulla sovranità economica nazionale e in ultima istanza su un “capitalismo dal volto umano” e quello delle comunità indigene e della società civile ecologista che appuntano alla creazione di un’economia solidale, post-estrattivista e soprattutto che rispetti le territorialità e forme sociali locali.
Sospetti reciproci si sono inaspriti con il “rapimento lampo” lo scorso marzo della compagna del presidente di Conaie ad opera di sconosciuti, che però, ha assicurato la donna, volevano informazioni sull’agenda di Santi sulle politiche che riguardano le risorse naturali e possibili mobilitazioni in cantiere.
Dovrebbe a questo punto essere chiaro perché il tema delle risorse naturali e del loro uso implichi l’importanza estrema del tema della plurinazionalità e della consulta previa e la sua inclusione nella costituzione.
Se la costituzione del 1998 riconobbe l’Ecuador come paese “multiculturale”, ciò a cui aspira oggi il movimento indigeno, la “plurinazionalità” darebbe un passo ulteriore al riconoscimento dell’autodeterminazione delle popolazioni indigene sulle loro terre e risorse. Più precisamente, implicherebbe il diritto delle nazionalità indigene di autodeterminarsi nei propri territori. E ciò implicherebbe un controllo sulla politica economica del paese. Niente di più contraddittorio rispetto all’idea di popolo e nazione proposta da Correa. Il diritto costituzionale alla “consulta previa” ad esempio, darebbe alle nazionalità indigene ecuadoriane il potere di decidere sui progetti di estrazione, normando finalmente in modo chiaro i meccanismi consultivi che fino a questo momento sono stati vaghi, fumosi e spesso manipolati dalle imprese straniere.
Il diniego degli assembleisti di inserire la plurinazionalità e il diritto alla “consulta previa” come articoli costituzionali segnala in buona sostanza la volontà di frenare e limitare l’autonomia decisionale delle popolazioni indigene. Però, fatto ancora più grave, significa che la proposta politica di Correa, si basa in fondo su un’ideologia
criolla di “popolo e nazione” che disconosce, riperpetuando la colonialità del potere che si è manifestato sul dominio economico e culturale dei “bianchi” all’interno del paese, la realtà sociale e culturale dell’Ecuador, costituita in maggioranza da popolazioni indigene che esprimono realtà sociali e culturali composite. Forze sociali che pretendono di poter decidere del destino delle loro terre, delle risorse da cui dipendono per sopravvivere, risorse che usano e di cui si appropriano in modi culturalmente e simbolicamente diversi dalle logiche del mercato e della società dominante.
Da qui il conflitto tra Conaie e Correa: nonostante la sua politica economica si basi sull’idea di “ridistribuzione” della ricchezza, la sua visione rimane centralista, sviluppista e di mercato.
Il fatto che negli ultimi mesi il governo si sia distanziato da Santi e dalla dirigenza di Conaie, avvicinandosi invece a leaders come Aviles, conosciuti in Amazzonia per aver diviso il movimento ed essersi schierati a favore dell’estrazione petrolifera è un altro esempio della situazione di crisi tra legittimi rappresentanti del movimento indigeno e Correa.
Il duro comunicato dello scorso 12 maggio, arriva dunque dopo che in questi mesi si è poco a poco venuta delineado una polititica economica che fondamentalmente non pone in discussione il suo impianto estrattivista e sottovaluta la portata del movimento indigeno.
A seguito delle dichiarazioni di Correa di non potere per nessun motivo accettare che le comunità indigene possano decidere sui destini del paese, il presidente ha rincarato la dose, sfidando Santi a mobilitare le sue basi, se è vero che rappresentano una forza politica nel paese.
E mentre il presidente di Conaie annuncia che farà appello all’Organizzazione degli Stati Americani e al convegno 169 affinché vigilino sull’assemblea costituente e sul rispetto dei trattati internazionali che proteggono i diritti delle popolazioni indigene, si annunciano nel paese nuovi ed imminenti scontri politici.
Da:
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