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La settimana passata la VI° Commissione “Territorio e Ambiente” della Regione Toscana ha chiamato un’audizione pubblica per svolgere un’indagine conoscitiva sui rapporti in essere tra autorità di ambito territoriale ottimale e gestori del servizio idrico integrato relativamente alle prestazioni e loro incidenza sulle tariffe.
L’oggetto della discussione ha coinvolto direttamente Publiacqua Spa e l’AATO 3 Medio-Valdarno. Non solo per la sentenza del Co.Vi.Ri. che ha ordinato a Publiacqua la restituzione di 6,2 milioni di euro ai cittadini, dopo aver definito illecita la transazione di tale cifra concordata tra l’AATO e la Spa, ma anche per una serie di inefficienze e di comportamenti che fanno pensare a tutto meno che alla erogazione di un servizio pubblico come in teoria dovrebbe essere quello idrico.
Con un’attenta, ma non troppo, lettura dei casi in questione è abbastanza facile intuire quanto Publiacqua Spa rappresenti un caso esemplificativo del funzionamento delle società per azioni nell’erogazione di servizi: per cause endemiche e strutturali tendono come obiettivo principale alla massimizzazione dei profitti.
Una serie di eventi conducono a una tale affermazione.
Una questione sollevata già dal Corriere Fiorentino sottolinea la divergenza di visione, di prospettive e di obiettivi tra una Spa e l’interesse collettivo. All’interno del piano d’investimenti, l’amministratore delegato di Publiacqua Spa, Andrea Bossola, nel 2006 decise di rimandare il più possibile i lavori per il “fognone”, che avrebbe dovuto convogliare i liquami di 160mila fiorentini verso il depuratore, prima di essere scaricati nel fiume. Di fatto adesso si afferma che l’opera non si farà prima del 2012. “La depurazione salva l'Arno ma non porta alcun profitto alla SPA, anzi, costa molto”,dice Tommaso Fattori del Forum dei Movimenti per l’Acqua. Il fine di una SpA risulta essere strettamente utilitarista ed economico e non segue affatto motivazioni di carattere ambientale e di benessere collettivo.
Fu lo stesso Bossola che, in un’altra situazione, dichiarò pubblicamente, al fine di salvaguardare gli utili dell’azienda, di alzare le tariffe se i cittadini scelgono di consumare meno acqua, seppur spinti da una virtuosa volontà di risparmio.
“La responsabilità non è allora di Bossola, che fa il suo (remuneratissimo) lavoro, ma di chi ha privatizzato l'acqua. La Spa deve fare utili, non deve salvare l'ambiente, nè deve far risparmiare acqua ai cittadini”.
Tutto ciò va inquadrato all’interno di un meccanismo che porta, di fatto, alla privatizzazione degli utili e alla socializzazione dei costi. Se la Spa ritarda o annulla l’erogazione dei fondi, da dove arrivano dunque le risorse per gli investimenti infrastrutturali che devono essere fatti per scongiurare una crisi idrica? Chiaramente dal pubblico. In questo senso arriva infatti la dichiarazione del Cispel (Associazione regionale delle imprese di servizio pubblico) che annuncia l’urgenza di 900 milioni da impiegare per fronteggiare le emergenze idriche.
Spesso si ricerca nella vigilanza sul soggetto privato da parte del pubblico la soluzione per risolvere i problemi di gestione di una Spa. Purtroppo, ormai a livello mondiale è accettata la teoria delle asimmetrie informative dalla quale emerge la cronicità di un deficit di controllo dovuto al fatto che le conoscenze e le tecnologie in possesso del gestore privato non sono presenti invece all’interno dell’organo o ente di controllo, il quale si trova costantemente in una posizione di debolezza e subalternità sostanziale.
Davanti a questa situazione la proposta della Regione Toscana è ferma a quella di formare un Gestore unico regionale, che in teoria dovrebbe alleggerire l’amministrazione favorendo una maggiore efficienza e una riduzione dell’apparato clientelare, assai costoso. Probabilmente l’unico effetto sarebbe invece quello di dare il colpo di grazia definitivo alla democrazia e al controllo da parte dei Comuni, che vedrebbero drasticamente diminuito il proprio potere decisionale, in base alla forte riduzione delle quote.
Quando si prospetta auspicabile un ritorno ai Comuni nella gestione dei servizi idrici integrati, la risposta delle istituzioni politiche invece si dirige verso una crescente parcellizzazione del potere di voto degli stessi.
Il quadro idrico toscano, per farla breve, dopo anni di Spa miste pubblico-private, risulta gravemente compromesso e gli unici beneficiari di questa esperienza gestionale risultano essere i soci privati tra i quali spicca, per quantità di pacchetti azionari nei vari AATO toscani, Acea Spa.
La stessa impresa che faceva parte nell’aprile del 2000 del Consorzio di Multinazionali “Aguas del Tunari”, che fu cacciato dalla Bolivia dopo una rivolta della società civile durante le storiche giornate della “Guerra dell’Acqua”. In quella occasione le multinazionali si erano appropriate dell’acqua del paese andino con la connivenza del governo centrale. Le bollette erano aumentate drasticamente in pochi mesi e la spesa per l’approvigionamento idrico arrivò a sfiorare il 23% delle entrate totali di una famiglia di Cochabamba. Addirittura si proibì di raccogliere l’acqua piovana, e là dove il cielo risulta essere l’unico fornitore d’acqua a causa dell’assenza di reti idriche, è facile immaginarsi quanto una tale decisione possa ledere in maniera devastante la vita della gente.
Questo per descrivere uno dei molti luoghi nei paesi del Sud del Mondo dove Acea Spa era o è presente tuttora, all’interno ovunque di processi di privatizzazione dell’acqua.
L’articolo di Elena Comelli sul caso Acea Spa, uscito sul Corriere della Sera il 27 ottobre, annuncia la probabile vendita alla francese Suez di una quota del pacchetto azionario del Comune di Roma, che scenderà dal 51% attuale al 40% o al 30%, facendo così di Acea Spa un’azienda a maggioranza privata. Le notizie parlano di accordi tra giganti: la fusione tra Suez e Gaz de France porterà a un probabile “scambio di mercanzia” con Eni, che, per avere la belga Distrigaz, ha offerto ai francesi Romanagas, ossia la rete di distribuzione del gas nella capitale. La complessa serie di accordi lasciano comunque intravedere che il futuro di Acea si giocherà sul triangolo Comune di Roma, Caltagirone (che pochi mesi fa è salito al 5%) e Suez-GdF, che ne uscirà ulteriormente rafforzata.
A livello locale, nei nostri comuni toscani o umbri, laziali o lombardi, siciliani o pugliesi subiamo gli effetti di questa rete affaristica internazionale. Nei territori viviamo quotidianamente a fianco di interessi che solo apparentemente sembrano circoscritti all’ambito territoriale di riferimento o al quadro politico provinciale e regionale. In realtà le gestioni malsane o corrotte dei sistemi idrici, le negligenze conniventi o strutturali degli organi politici nel controllo del soggetto privato, l’aumento delle tariffe, il peggioramento del servizio e delle condizioni dei lavoratori dell’acqua non sono altro che fattori necessari perchè possa continuare a riprodursi un modello economico capitalista a livello globale.
Un filo che si dipana tra decine di luoghi e nomi. Una macchia che si contrae e si espande alla velocità del denaro. Leggendo delle multiutilities che in tutta italia gestiscono servizi e acqua ci rendiamo conto di quanto effimera sia una vigilanza di un’entità pubblica sulle loro gestioni e azioni, e quanto chimerica sia la sovranità e il controllo di una Nazione, di uno Stato nei confronti del capitale internazionale, che forma e nutre le Spa, innescando un meccanismo perverso di costante depredazione di quella che ancora i nostri padri chiamavano Madre Natura.
Basta citare le parole di Raul Zibechi per capire di cosa si tratta: l’intellettuale uruguaiano, cercando di spiegare la fase attuale del capitalismo globale, parla spesso di “produzione per espropriazione”, evidenziando il fatto che oggi il saggio di profitto, oltre ad essere alimentato con disperate speculazioni finanziarie, si crea e si produce costantemente attraverso il saccheggio della biosfera, lo sfruttamento di ogni forma di vita (non più solo il “fare umano”) passando appunto per la privatizzazione dell’acqua.