Abbiamo paura di essere liberi.
Pensa con quanta forza questa paura è radicata nella men- te degli oppressi». A 40 an ni dalla pubblicazione della Pedagogia degli oppressi, parla Lutgardes (Lute)
Freire, figlio di Paulo Freire, l’educatore brasiliano che trascorse 16 anni in esilio, olpevole di usare l’alfabe- tizzazione come strumento
di liberazione. Lute ha vissuto sulla propria pelle la lontananza dal Paese natale ma ha condiviso le gioie e le sofferenze del padre ed è
testimone del cammino di un educatore conosciuto in mezzo mondo. Lo abbiamo
intervistato a San Paolo in occasione della presen- tazione del libro Globali-
zacao, Educacao e Movimentos Sociais, 40 anos da
Pedagogia do oprimido. In Pedagogia della Speranza,
uno degli ultimi libri di suo padre, si racconta la storia di una famiglia di maiali che aveva tre figli. Uno di loro era molto curioso e irrequieto.
Un giorno il maialino scappò di casa per andare a conosce- re il mondo, incontrò mille pericoli ed ebbe varie peripezie. Quando tornò a casa, ab-
bastanza malconcio e pronto a ritornare sulla retta via, ascoltò le parole del padre:
«Sapevo che lo avresti fatto. Era necessario perché ap- prendessi che non dobbiamo
uscire dai binari. Qualunque tentativo di cambiamento ci espone a rischi e sofferenze,
che hanno alti costi, come è accaduto a te». Cosa inten-
deva Paulo Freire? Mio padre diceva: «Chi non rischia non conoscerà
mai niente. Lavita è un rischio costante. Bisogna rischiare». Inquesto modo
vinceremo le nostre paure. Anche questo è legato ai
meccanismi di oppressione. Il popolo è abituato a non fare domande. È abituato
a stare tranquillo. Qualche tempo fa, quando mia madre era ancora vivo, avevamo assunto un collaboratore domestico. Quando arrivò a casa gli chiesi: «Co-
me ti chiami?» e lui rispose «Puoi chiamarmi come vuoi». L’oppressione arriva a tal punto che distrugge l’identità di una persona. E questo ha che vedere anche
con l’educazione bancaria, ancora molto presente nella
nostra società. Cos’è l’educazione bancaria? È l’educazione che dimostra che lo studente non sa niente e il professore sa tutto. Il professore deposita la conoscenza nella testa degli studenti come se la depositasse in una banca per prelevarla intatta quando serve. C’è ancora molta re sistenza a cambiare questo
stato di cose.Parlando di cambiamen-
to, come arrivò tuo padre all’educazione popolare?
Come prese questa strada “sovversiva” nonostante i limiti storici e culturali del
suo tempo? Mio padre veniva da una famiglia molto povera. Conviveva con i bambini di strada. Fin da giovanissimo iniziò a chiedersi il perché delle ingiustizie sociali. All’inizio diceva: «Io devo andare da questa gente e devo spie-
gargli che non deve essere povera, che deve cambiare la propria condizione». Poi
si rese conto che in realtà la gente sa di essere povera, sa
fare una lettura del mondo
in cui vive, non c’è bisogno
che qualcuno glielo dica.
Abbandonò questa perce-
zione ingenua della realtà
sociale e iniziò a studiare
Marx, alla ricerca di una so-
luzione più profonda.
Quanto ha influito l’esilio
nella formazione della per-
sonalità di Paulo Freire?
Lui stesso diceva che l’esilio
lo aiutò a comprendere il
suo carattere, i suoi pre-
giudizi. Apprese molto in
relazione alla relatività
culturale. Tutta la nostra
famiglia visse l’esilio come
un momento di crescita. avvicinammo alla cultura
dell’altro senza perdere la
nostra. Quando lasciammo
il Brasile, i miei genitori
avevano più di 40 anni.
Avevano già una vita vissuta
alle spalle. E avevano molta
saudadedel loro Paese.
Inpiù, quando mio padre
lasciò il Brasile, il governo
militare iniziò a usare il me-
todo di alfabetizzazione che
lui aveva inventato. Lode-
purò della valenza politica
e, invece di utilizzarlo come
strumento di costruzione
di coscienze, lo utilizzò per
i propri obiettivi. Fumolto
doloroso per lui.
Come definisci in poche pa-
role l’educazione popolare?
L’educazione popolare usa
il linguaggio popolare. Ed
è, allo stesso tempo, un’edu-
cazione culturale. Utilizza
le parole provenienti dal
linguaggio popolare senza
disprezzarlo. Rispettando
il mondo da cui proviene
senza dimenticare che que-
sto è un momento di inizio
per un’elevazione culturale.
L’educazione popolare non
può fermarsi solo all’alfabe-
tizzazione. Bisogna lavorare
anche dopo, con la post al-
fabetizzazione. Altrimenti,
il popolo non porrà mai fine
alla sua oppressione.
Com’è cambiata l’educazione
popolare nel tempo?
Inorigine era uno strumen-
to di resistenza alle ditta-
ture, ai regimi militari, al
capitalismo.
Dopo la caduta del Muro di
Berlino, non c’è più un ne-
mico. Mala sfida dell’edu-
cazione popolare rimane
quella di identificare le
classi sociali nella società
attuale, perché le classi
sociali esistono ancora e il
nemico è cambiato ma non
siamo alla fine della storia.
Per costruire un mondo
differente, dobbiamo essere
oggetti della nostra storia.
Mi puoi fare un esempio di
lotta sociale che segue il
pensiero di Freire?
Il Movimento dei senza
terra (Mst) in Brasile subi-
sce una forte influenza dal
pensiero di Paulo Freire.
Mio padre, una volta, in-
contrò un leader contadino
del movimento. E mi disse:
«Questo leader dell’Mst
non si riconosceva come
educatore però era un
educatore. Durante un’oc-
cupazione, dopo aver rotto
le recinzioni, non si limitò a
occupare la terra. Entrò con
gli altri contadini e si riunì
con loro, formò un circolo di
cultura. Stava educando».
Come è stata influenzata la
tua vita e la tua professione
da Paulo Freire?
Credo che nel corso della
sua vita mio padre si disse:
“Io non posso imporre
ai miei figli una professio-
ne. Non rispetterei la loro
libertà”.
Mio padre non mi ha
mai detto “Lute, tu devi
continuare il mio lavoro”.
Piuttosto sosteneva: «Io
non ti obbligo a fare niente.
L’unica condizione che ti
impongo è che lavori con
amore. Devi amare gli altri
e te stesso. Devi amare la
vita». Fui esiliato con la mia
famiglia quando avevo ap-
pena cinque anni. Conobbi
fin da piccolo tante persone
provenienti da altri Paesi.
Hosempre nutrito una
grande curiosità e voglia di
comprendere cos’è il potere,
cos’è la politica. Per questo,
una volta tornato in Brasi-
le, ho studiato sociologia.
Mio padre morì nel 1997.
L’anno seguente l’Istituto
Paulo Freire mi chiese di
organizzare e gestire tutto
il materiale che lui aveva
lasciato. Attualmente sono
il coordinatore degli archivi
he portano il suo nome. A
parte la mia professione, la
relazione con i miei genitori
fu sempre un po’ complica-
ta. Loro nacquero nel Nord
Est del Brasile agli inizi del
secolo scorso. Erano stati
educati in una società con-
servatrice. Nonostante ciò,
mio padre diceva sempre
che nella vita bisogna ag-
giornarsi continuamente.
Non possiamo pensare di
fermare il tempo. E aggiun-
geva una frase: «Io non so-
no marxista, io sto essendo
marxista».
Il movimento, il cambia-
mento, è una condizione pe-
rennemente presente nella
vita di mio padre. Prima di
morire lui disse: «Non voglio
essere idolatrato, non voglio
essere imitato, non voglio es-
sere copiato, voglio essere
reinventato»
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