Alla  fine è stata fissata anche la data: sarà il 10 agosto prossimo che in Bolivia  si terrà il referendum revocatorio cui si sottoporrà sia il presidente Evo  Morales che il vicepresidente Alvaro Gracia Linera che i 9 i prefetti  dipartimentali, la maggioranza dei quali sta appoggiando la spinta  secessionista della ricca regione di Santa Cruz. Era stato lo stesso Morales a  chiedere nel dicembre scorso che la popolazione potesse decidere in completa  autonomia le sorti del suo presidente. “Quello che chiedo al popolo boliviano –  ha detto il presidente - è che ci giudichi e che orienti, per mezzo del voto,  le differenze che esistono fra il governo nazionale e alcune autorità dei  dipartimenti del Paese”. L'ex sindacalista cocalero ha aggiunto: “Sono molto  contento perchè non ho nessuna paura del popolo. Anzi il popolo andando a  votare al referendum avrà la possibilità di giudicare le autorità che egli  stesso ha eletto. Il popolo ha il diritto di decidere sui propri rappresentanti.  È importante continuare a  rafforzare la democrazia – ha continuato - non solo teoricamente , ma vigilando  e controllando le  autorità nei municipi, dipartimenti o a livello  nazionale. Continuiamo a costruire la nostra storia, lasciando al popolo  boliviano il diritto di decidere”, ha affermato Morales sottolineando che non  teme il giudizio del popolo. 
  Il Capo dello  Stato ha richiamato le istituzioni competenti ad offrire ai residenti boliviani  all'estero la possibilità di partecipare alla votazione ed ha chiesto alla  Corte Nazionale Elettorale (CNE) di garantire un referendum trasparente, che  rispetti la legalità, che serva successivamente come un precedente valido per  risolvere nello stesso modo i problemi che possono colpire molti municipi.
  Per continuare e  svolgere i loro incarichi, i dirigenti non possono ricevere un totale di voti  contrari superiore a quelli favorevoli ottenuti quando sono stati eletti. In  questa forma, l’incarico del presidente terminerà solo se verrà superato il  53,7% di schede contrarie, e per i prefetti il 37,98% e il 48,03%.  
  Se fosse  revocato il presidente, lo stesso Morales convocherà nuove elezioni politiche,  che verranno realizzate dopo 90–180 giorni dalle pubblicazioni dei risultati  del referendum. 
La reazione dei prefetti della cosiddetta Mezza Luna non si è fatta  attendere: giovedì scorso hanno fatto sapere di scartare la possibilità di un  accordo nazionale improntato al dialogo e hanno rifiutato il referendum  revocatorio chiamando il popolo alle elezioni nazionali.
La  notizia è stata diffusa dopo che il governo boliviano aveva avanzato l’ipotesi  di riposizionare in agenda i 10 punti fissati il 15 gennaio scorso per  concretizzare un accordo con il partito di destra di Podemos e superare la  crisi nazionale. 
  I  partiti di destra hanno altresì deciso di chiedere la rinuncia alla Nuova  Costituzione statale appena approvata dall’Assemblea e hanno rifiutato così di  sottoporsi al referendum revocatorio, a cui lo stesso presidente della Bolivia  Evo Morales si sottoporrà il prossimo 10 agosto. 
  
  “La migliore maniera di uscire dalla crisi non è il referendum revocatorio ma  le elezioni”, ha detto il prefetto di Cochabamba Manfred Reyes Villa, seguito  da quello di 
  Santa Cruz, Rubén Costas, che ha voluto sottolineare  che “non è per paura del referendum, ma per la  democrazia”, che preferiscono le elezioni generali.
Il  prefetto del dipartimento del Pando, Leopoldo Fernández ha spiegato invece come  le elezioni anticipate possano rappresentare un pericolo per il Paese.
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