
Nicola Caforio e Francesca Gnetti
(NTNN) - La Colombia è un Paese di profondi conflitti, ma anche di forti movimenti di resistenza. Nonostante sia uno dei luoghi più violenti al mondo, devastato da sessant’anni di guerra civile, l’energia dei popoli indigeni e dei movimenti sociali alimenta una visione alternativa a quella dello sfruttamento delle risorse, delle violenze e delle distruzioni. Su una popolazione di 40 milioni, oltre 25 milioni di persone non hanno accesso all’acqua e 4 milioni e mezzo di persone sono ‘desplazados’, allontanati con la violenza dalle loro case e dalle loro terre.
La privatizzazione dell’acqua in Colombia cominciò nel 1994, quando la legge 142 consentì l’ingresso dei privati nella gestione dei servizi pubblici in nome dei processi di liberalizzazione. Dal 2007 iniziarono gli incontri e i dibattiti tra comunità indigene, afro-discendenti, contadini, ambientalisti e sindacalisti che portarono a un accordo per un referendum che definisse l’acqua come bene comune e diritto umano fondamentale. Nonostante la raccolta di oltre due milioni di firme, ad agosto del 2009 il parlamento colombiano, controllato dall’allora presidente Álvaro Uribe, ha archiviato la proposta referendaria. Ma la mobilitazione continua, assicura Danilo Urrea, giovane filosofo e militante dell’organizzazione ecologista colombiana Censat Agua Viva - Amigos de la Tierra Colombia, intervenuto alla presentazione del libro ‘La visione dell’acqua’ pubblicato dalla casa editrice Nova Delphi e curato dall’associazione Yaku.
“Quello che ci interessava era innescare un percorso di mobilitazione e partecipazione nazionale. Il nostro lavoro attualmente si svolge su tre livelli: la lotta contro il modello di sviluppo delle miniere; la lotta contro l'esportazione dell'energia prodotta dallo sfruttamento delle risorse naturali, che viene venduta all'estero per garantire la crescita dei capitali delle grandi aziende e non impiegata a beneficio dei cittadini; e l'articolazione dei sistemi comunitari di acqua. Lo sviluppo di modalità di diffusione dell'acqua autogestite dalle comunità locali, attraverso le quali tutti possono avere accesso alla risorsa, è stato necessario vista la resistenza dello Stato colombiano a garantire alla popolazione i diritti elementari. Ma è vero anche che dopo il divieto a svolgere il referendum molti movimenti hanno cominciato a perdere forza. I differenti metodi di lotta e soprattutto l'inglobamento delle rivendicazioni all’interno dei partiti politici hanno depotenziato la forza del nostro messaggio. La strumentalizzazione di queste istanze sociali come metodo di contrapposizione politica ha generato risultati contraddittori e ha determinato l'esigenza di una nuova articolazione che vada al di là della congiuntura del referendum”.
Nel capitolo che hai curato all'interno del libro 'La visione dell'acqua' definisci la Colombia “crocevia delle acque”. Cosa intendi?
“Mi riferisco al modello che si sta sviluppando nel mio Paese e che rischia di espandersi. La privatizzazione dell'acqua ha dietro forti interessi economici, dalle industrie minerarie alle raffinerie. Questo modello si sta affermando in diversi Paesi dell'America Latina, ma è in Colombia che sta avvenendo la sua principale sperimentazione e a noi guardano Cina, Francia e gli altri Paesi interessati a metterlo in atto. In questo sistema i capitali corporativi che gestiscono l'acqua hanno maggiori garanzie e utilità. Gli unici che ottengono tutele, a scapito delle popolazioni e dei territori, sono gli speculatori finanziari che attraverso i titoli potranno regolare l'approvvigionamento idrico.
Tu sostieni che il risultato del referendum italiano contro la privatizzazione dell'acqua che si terrà il 12 e 13 giugno sarà importante anche per la gestione delle risorse idriche dell'America Latina. Come mai gli attribuisci questo valore internazionale?
“I principali referenti politici dei Paesi dell'America Latina erano e continuano a essere gli europei. A partire dall'epoca del colonialismo il loro modello neoliberista è stato importato soprattutto nell’America centrale e meridionale. Anche gli Stati Uniti hanno fatto la loro parte. Ora per gli stessi motivi di tradizione storica diventano per noi riferimenti molto importanti i comitati dei cittadini che si ribellano alla privatizzazione delle risorse idriche. Dalla nascita del movimento per la difesa dell'acqua, fondato nel 2009 a Malmö, in Svezia, siamo molto vicini alle lotte europee in questa direzione. Il nostro obiettivo è dimostrare che la battaglia per il diritto all'acqua è di tutti, non solo degli indigeni, degli afro-discendenti o dei contadini che sono parti minoritarie della popolazione. Io credo che le relazioni tra i vari movimenti abbiano reso possibile che quel che accade in un Paese si ripercuota anche su altri, rompendo gli schemi della burocrazia”.
Nonostante la comunione di intenti contro la privatizzazione delle risorse idriche tra i movimenti italiani e quelli colombiani, il rapporto con l'acqua dei due Paesi è differente?
“Credo che esista una cosmovisione differente. Per noi l'acqua ha molto a che fare con il modello di vita e con il rapporto con la natura. Ma anche in Italia esiste un rapporto con la natura molto forte, particolarmente radicato nelle montagne. Il punto rimane comune, tutti i movimenti a difesa dell'ambiente sanno che in questo modo preservano il diritto alla vita. La guerra per l'acqua è molto meno lontana di quello che appare. La mancanza delle risorse idriche porterà allo sfruttamento dei Paesi che ne hanno di più, generando forti disequilibri ambientali. Al di là della fantasia che sembra cinematografica, tutto questo sta già accadendo. (NTNN)
http://www.ntnn.info/it/articles/colombia-crocevia-delle-acque.htm