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Parlare di  gestione delle risorse in Bolivia è – tentare – di parlare della Bolivia oggi.
La riappropriazione dei beni – la terra,  le risorse del sottosuolo, l'acqua – e della loro gestione, è stata una delle  bandiere della grande onda rivoluzionaria dei movimenti sociali  boliviani. Momenti illuminanti di questo spazio storico sono stati senza  dubbio la Guerre dell'Acqua di Cochabamba del 2000 contro la multinazionale  statunitense Bechtel, e la cacciata della Suez Lyonesse des Eaux, anni dopo, a El Alto; la Guerra del Gas del 2003, sempre nell'Altiplano  Andino. Prima, le grandi marce indigene per rivendicare il possesso della terra  alle popolazioni originarie, l'ultima delle quali, la quinta, fu nel 2006. 
Momenti, spazi, ritmo di una storia  boliviana che hanno - anche -  fatto di Evo Morales un presidente. 
  In tutte  le guerre citate, il controllo sociale dal  basso prendeva il sopravvento su quello legale – ma illegittimo – dello stato:  allora erano le dittature militari o neoliberali dei vari presidenti Hugo  Banzer, Sanchez de Lozada, Carlos Mesa. 
Un grido di ribellione proveniente da un  popolo in lotta per la difesa di diritti inalienabili, quali l'accesso  all' acqua o contro lo sfruttamento delle  proprie riserve naturali, vedi  il gas, di cui la poverissima popolazione boliviana non aveva mai potuto  beneficiare, pur possedendo un bacino idrocarburifero di immense dimensioni (lo  0,4 % di quello mondiale, secondo solo a quello del Venezuela). Lo sforzo della  gente "sencilla e trabajadora" (semplice e lavoratrice), convogliata  nei movimenti indigeni, operai, contadini, studenteschi, aveva non solo come  obiettivi il recupero della sovranità popolare e il superamento del modello  neoliberale, ma, più in profondità, l'elaborazione e l'attuazione di un nuovo  sistema di relazioni sociali. Di un nuovo "ordine". Una speranza non  solo della gente boliviana, ma di gran parte del mondo che assisteva ai fatti  col fiato sospeso.
Più basicamente, le richieste della  popolazione boliviana erano l'acqua pubblica, un'Assemblea Costituente dove  fossero rappresentate tutte le categorie della società boliviana e la  nazionalizzazione degli idrocarburi. 
    Se il compito dell'Assemblea  Costituente, come è noto, si è già concluso (e non felicemente), il dibattito  sulla difesa e la gestione delle risorse della Bolivia è ancora aperto.  L'acqua, in particolare, ha una valenza politica e culturale che si riallaccia  alla matrice profondamente indigena della Bolivia: fin dai tempi preincaici le  fonti d'acqua rappresentavano gli spazi di costruzione ed elaborazione  politica. La loro gestione era determinata a livello comunitario. Esisteva – ed  esiste – una casta sociale che si occupava della distribuzione delle acque nei  campi. Che c'è ancora oggi, ed è al governo: sono i Regantes del senatore Omar  Fernandez, appartenenti al partito del Movimento Al Socialismo. L'acqua ancora  oggi in Bolivia è gestita per lo più a livello comunitario. Una concezione che  coccia contro la gestione centralistica dello stato socialista promosso dal  Governo Morales.  E che ha cocciato duramente contro il fallimento delle  imprese municipali recuperate durante le guerre dell'acqua: la Semapa di  Cochabamba è oggi oggetto di attenta revisione dopo una stagione di corruzione  e soprusi e si trova in antitesi con gli oltre 500 comitè dell'acqua che  gestiscono di fatto tutta la Zona Sud della città; nella impresa EPSAS di El  Alto nessuna delle Juntas Vecinales aymara che autogestiscono la città  satellite di La Paz si riesce a riconoscere perché non c'è controllo sociale al  suo interno.  
In ballo ci sono poi gli idrocarburi,  nazionalizzati due anni orsono. 
Il primo maggio del 2006, come promesso,  Evo Morales attua il "decreto di nazionalizzazione n. 28701" chiamato  "Heroes del Chaco" e platealmente messo in atto con l'occupazione  militare dei pozzi petroliferi, appunto, nella macroregione del Chaco – scelto  non a caso, visto che nel suo sottosuolo scorre circa un quarto dei 74 trilioni  di metri cubi di gas della Bolivia, e che al tempo delle dittature neoliberali  fu svenduto alle grandi multinazionali, dalla ispano argentina Repsol – YFB,  alla anglo argentina British Petroleum – Bridas, la Shell, la statunitense  Transredes S.A.. 
Tale decreto 28701 permetteva allo stato  di assumere la proprietà dei gas e del petrolio, affidata alla rinata - ma  tutt'ora fortemente indebitata - impresa petrolifera statale YPFB per il 51%  delle azioni, tassate all'82%.  
    La nazionalizazione del Governo  Morales  - la terza dopo quella del '37 e del '69 – è stata definita più  una "ricontrattazione" con le imprese (che non hanno messo in pratica  le iniziali minacce di lasciare il Paese) ed attualmente non sembra aver  raggiunto i risultati promessi. Secondo un Forum tenuto il 13 agosto scorso a  El alto, al quale partecipavano intellettuali e docenti della Bolivia - da  Roberto Fernández, docente della Università San Simon Cochabamba, a Carlos  Arze, del Centro di Studi CEDLA -  "il Governo del MAS ha trasferito  alla YPFB, a titolo gratuito, le azioni del cosiddetto Fondo di  Capitalizzazione Collettiva delle imprese Chaco, Andina e Transredes, arrivando  ad un controllo del 48% delle azioni per le prime due, e al 34% per la terza.  Non ha avanzato nella compra delle azioni delle imprese capitalizzate e  privatizzate e dunque, l'intenzione di arrivare al 50% di azioni più una non ha  raggiunto nessun risultato". 
Il Governo si difende e dice che questa è la strada  giusta. Solo nel 2007 sono entrate nelle casse dello stato oltre 1500 milioni  di dollari (su un PIL di circa 11.000), distribuiti ad Università,  Municipi, per le minipensioni a vecchi e bambini, in aumenti  salariali. Interventi che pare non scalfiscano la radicata povertà boliviana,  ma che hanno contribuito ad un consolidamento del consenso interno. Ci sono poi  dei costi sostenuti dallo stato per il recupero delle imprese, di gasdotti, di  impianti, che non sono ancora stati restituiti. Nonostante i lauti aiuti  dall'amico Venezuela,  previsioni pessimistiche dicono che la Bolivia si  troverà in difficoltà, anche perché priva di un vero programma di sviluppo economico  "a largo plazo", ovvero a lunga gittata, e per la forte  frammentazione politica interna. Dalla sua, il Governo Morales ha potuto  contare fino ad ora sul buon andamento dell'economia nazionale, cresciuta del  4,6% nel 2007, sull'aumento delle esportazionie e la riduzione del debito  pubblico. 
    Gli idrocarburi sono argomento all'ordine del giorno:  la sotrrazione della tassa IDH (Imposta diretta suggli idrocarburi) alle casse  delle prefetture è diventata l'ultima materia di feroce scontro fra Governo del  MAS e regioni governate dalle destre (che sono quelle che hanno i giacimenti di  gas e petrolio più importanti): negli ultimi giorni nuovi bloqueos stradali hanno paralizzato la Bolivia, isolando le vie d'accesso ad Argentina e  in Paraguay e alcuni gasdotti sono stati sabotati.
    La situazione delle miniere meriterebbe poi un capitolo a sé. Il caso di Huanuni, ovvero  lo scontro fratricida tra minatori cooperativistas e asalariados per lo sfruttamento dell'omonima miniera di stagno che nel 2006 é emblematica. Il Governo anche  allora vacillò nella ricerca di una risoluzione, che fu la cessione di una  parte del giacimento minerario ai cooperativistas. E comunque, di fatto,  la Bolivia è invasa da imprese minerarie straniere che stanno sventrando il  sottosuolo del Paese, avvelenando le falde acquifere ed arrivando a spostare un  intera cittadina sasso per sasso, come nel caso della miniera di San Cristobal,  della statunitense Apex Silver Mines Limited e della giapponese Sumimoto Corporation. 
Fra ipercriticismo e ammirazione indefessa, è difficile trarre  conclusioni sulla politica nazionalizzatrice in Bolivia. Sicuramente, sono molti i  colpi di scena: la Entel controllata dall'italiana Telecom attraverso la  olandese ETI, ad esempio. Un altro primo maggio, questa volta di quest'anno, un  altro decreto, il 29544, per la nazionalizzazione delle azioni. La Telecom si è  rivolta ovviamente al CIADI, l'organo della Banca Mondiale che si pronuncia  sugli investimenti, chiedendo 350 milioni di dollari di risarcimento per  mancato lucro. E' di pochi giorni fa la risposta del Governo Boliviano: non  riconosce il CIADI, Euro Telecom avrebbe registrato in modo irregolare la sua  denuncia, e il giudice proposto dalla compagnia italiana (Francisco Orrego  Vicuna) sarebbe inadatto perche' membro della Banca mondiale.
L'atteggiamento più equilibrato, come suggerisce l'economista boliviano Jorge Viaña, è quello di  considerare l'attuale governo boliviano come un governo di transizione. Questo  permette di valutare anche le sue iniziative in campo di nazionalizzazioni –  ben lontane dall'essere una vera riapprorpiazione delle risorse, e lontane anni  luce dall'essere di marchio anticapitalista o addirittura rivoluzionario – in  maniera positiva, come un primo passo verso verso "il necessario  approfondimento del cambio". Insomma, non siamo al culmine di un  processo, ma nel bel mezzo.
La questione  delle risorse in Bolivia, e la loro gestione, non è poi solo economica.  Sottende anche alla maniera di intendere la terra, l'acqua. La vita stessa. Il  cammino democratico della Bolivia ha appena ricevuto l'impulso determinante del  referendum popolare dello scorso 10 agosto, che ha riconfermato con quasi il  70% del consenso il presidente Evo Morales. Forte di questo, il governo  socialista boliviano ha accelerato il passo fissando per il prossimo 7 dicembre  il referendum per l'approvazione della Nuova Costituzione di Stato. Essa  pianifica uno stato plurinazionale di 36  "nazioni" indigene.  Oltre alla difficoltà di, per così dire, far incontrare questa visione  indigenista dello stato con quella centralista del partito socialista al  potere, la cultura indigena dice anche che la Pacha Mama dev'essere rispettata.  Che l'acqua è un essere vivo. Che il petrolio è il sangue della terra. Desarrollismo (sviluppismo) e cosmogonia dovranno andare a braccetto.
pubblicato su Left in data 05.09.2008