Documento senza titolo
Il Tar del Veneto ha detto stop ai lavori di ampliamento della base Usa di Vicenza, la «Ederle 2», presso l'aeroporto militare vicentino Dal Molin. L'ordinanza del Tar dice testualmente che «nessuna traccia documentale di supporto è stata riscontrata» sull'atto di consenso «presentato dal Governo Italiano a quello degli Stati Uniti d'America, espresso verbalmente nelle forme e nelle sedi istituzionali». Una vittoria del presidio No dal Molin, che per mesi ha lottato pacificamente e generosamente, e quindi una vittoria per tutti noi; una dimostrazione cocente di come la voce del Potere, in Italia, in fatto di armi e militarizzazioni non corrisponda in alcuna maniera alla volontà popolare. Ma anche negli Stati Uniti degli ultimi mesi dell'era Bush, il dissenso per il vergognoso dramma della guerra In Iraq sta prendendo corpo. Addirittura il corpo dei marines, molti dei quali, una volta tornati in patria, si organizzano per racconatre le atrocità nascoste delle guerre marchio USA. James Gilligan, reduce dell'Iraq, fa parte degli Iraq Veterans Against the War, i veterani contro la Guerra, che si battono strenuamente per il ritiro delle truppe statunitensi. James l'abbiamo incontrato e intervistato. E, come i No dal Molin, ci ha dato una grande speranza. Di seguito, l'intervista.
Se verrà la guerra, Marcondiro'ndero
se verrà la guerra, Marcondiro'ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro'ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?
Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà. [Fabrizio De Andrè]
“Oggi ci impegniamo a portar a termine un'ultima missione: quella di sradicare anche l'ultimo rimasuglio di questa guerra barbara, per pacificare finalmente i nostri cuori, per sconfiggere l'odio e la paura che hanno governato questa nazione nell'ultimo decennio”. E’ un soldato statunitense che parla.
E continua: “di modo che quando, tra trent'anni, i nostri fratelli cammineranno per strada senza una gamba o senza un braccio, o con il volto devastato, e i bambini chiederanno perché, potremo rispondere loro 'Vietnam' senza che questa parola significhi un deserto, un ricordo osceno..."
Trent’anni sono passati. Nuovi fratelli camminano per le strade americane devastati nel corpo e nella mente. Altre migliaia di fratelli sono sepolti in altri deserti di morte: in Iraq sono 92.004 gli iracheni ammazzati, 4094 i soldati USA rimasti vittime dal 19 marzo 2003, alcune altre centinaia di altre nazionalità(dati ufficiali aggiornati all’11 giugno). Era John Kerry il soldato che sperava nel nuovo volto del suo paese, parlando davanti alla Commissione Affari Esteri del Senato degli Stati Uniti, nel ‘71.
Ma la storia è beffarda e gli uomini senza memoria.
L’11 giugno scorso Roma sembrava un campo d’addestramento militare. Soldati, carabinieri, finanzieri in tenuta antisommossa a presidiare ogni strada e stradina del centro storico per la visita del presidente Bush, arrivato a chiedere ancora più uomini per la “missione di pace” in Afghanistan, trovando ovvia sponda nel nostro neopresidente del Consiglio e forse una benevola stretta di mano dal nostro Papa. Il corteo dei no-war, dei pacifisti, dei cittadini che ripudiano la guerra, sfila fra due ali di divise e di mezzi militari che quasi superano per numero i manifestanti stessi. Il percorso che gli è stato assegnato parte da Piazza della Repubblica e scivola dietro il Ministero della Finanze. Il corteo non riesce a coinvolgere la gente lungo le strade perché passa in una zona di hotel ed uffici vuoti. Gli slogan puntano sul ritiro immediato delle truppe italiane dall'Afghanistan e dal Libano, sull’ opposizione alle basi Nato in Italia, per il taglio delle spese militari in favore di quelle sociali. Quando i circa 10.000 manifestanti arrivano in Piazza Barberini, a parlare c’è James Gilligan: “Sono stato sia in Iraq che in Afghanistan e ho partecipato alla cosiddetta guerra del terrore. Il messaggio che vi porto è che il mio paese deve ritirarsi, subito, perché laggiù, in quesi paesei, gli Stati Uniti non stanno facendo nulla per migliorare la vita delle persone. Noi stiamo opprimendo quella gente. Noi stiamo torturando quella gente. Noi stiamo bombardando donne e bambini per cosiddette missioni di sicurezza. Questa guerra è Guantanamo e Falluja. La mia organizzazione si chiama Veterani dell’Iraq contro la Guerra e vi dice che noi dobbiamo lottare assieme contro la guerra. Noi possiamo sperare”. La gente lo ascolta. Lui è conciso, diretto, accorato. In questa manifestazione sotto tono il discorso di James pare l’unico momento di unità fra i presenti.Dietro di lui ci sono Dick Cheney e Condoleeza Rice con le manette. Ballano – ovviamente sono due caricature – ma ricordano bene come in questa guerra illegale dai costi umani ed economici esorbitanti, ad esempio le azioni dell´Halliburton, compagnia di Cheney, siano alle stelle. E le compagnie petrolifere in festa.
James si è fatto tutto il corteo sventolando una bandiera dell’Iraq. E’ diverso dallo stereotipo – ammesso che ce ne sia uno – del veterano americano. Forse sotto mimetiche e giubbotti sono tutti così. James è magro e nerboruto – niente bicipiti prominenti e mascella squadrata. Ha occhi scuri e profondi e sorride in modo decisamente affascinante. Indossa la maglietta della sua organizzazione - Iraq Veterans Against the War (IVAW). Ha 27 anni. Gli ultimi sei gli ha passati tra Afghanistan e Iraq. E’ tornato da due. Dunque, è partito a 19 anni.
“Proteggere la Costituzione americana contro tutti i nemici domestici e stranieri: è il giuramento che noi soldati dobbiamo fare appena ci arruoliamo. Per me è stato il 19 luglio del ’99”. Come dire: la Costituzione ora la proteggo in altro modo. “Appena arrivato in Iraq, ricordo tutto quel petrolio che schizzava in aria dai pozzi, quella ricchezza che ci cadeva addosso, sui capelli, sulla faccia. E la nostra prima missione era quella di ottenere il controllo dei giacimenti petroliferi. Molti miei compagni erano sconvolti per come viveva la gente: non avevo mai visto tanta povertà. E noi non facevamo niente per aiutarli: solo a proteggere i pozzi col fucile in mano. Regalavamo ai civili tutto quello che potevamo, le nostre razioni, le sigarette”. Perché sono immagini che sanno di dejavù, i soldati che lanciano sigarette e cioccolate? Perchè sembrano parole di anni fa? Ma perché sei partito, James? Stupida domanda. “Difendi il tuo Paese. E poi guadagni soldi”. Già. Ma come ti mantieni, James, ora?, chiediamo, visto che viene da Napoli, dove il 2 giugno ha partecipato all’evento “Il vero volto della guerra”, con il Comitato Pace e Disarmo campano, e dopo Roma sarebbe andato in Germania ed Olanda. “Mi hanno dato l’80% di disabilità. Per lo stress”, dice, e mentre parla continua a guardare l’elicottero che durante tutta la manifestazione ha sorvolato il corteo, evidentemente urtato da quel rumore prepotente. Non è bello pensare che un ragazzo di 27 anni non riesce a dormire perché i suoi occhi grondano di orrore. Ma con la Iraq Veterans against the War, James ha trovato un senso. “A marzo – racconta – abbiamo organizzato delle udienze pubbliche a Washington. A maggio, davanti al Gruppo deputati progressisti per il ritiro in Iraq. La IVAW aveva 800 iscritti prima di queste iniziative. Ora siamo a 1200”. Ma riesce ad esercitare pressione politica la IVAW? “Ad esempio prima e dopo l’ultimo discorso alla nazione di Bush, alla CNN, è stato organizzato un dibattito sulla guerra in Iraq con un paio di rappresentanti dei veterani e il conduttore più famoso d’America, Larry King”. L’immagine ci impressiona: come se prima di Berlusconi, Vespa aprisse un dibattito…pazzesco! Assieme alla IVAW, che tra l’altro è diretta da una donna, la ex poliziotta militare Kelly Dougherty, in USA ci sono i Veterans for Peace, Vietnam Veterans against the War, Military Families Speak Out, uniti nel “dovere di denunciare le responsabilità di chi li ha mandati a combattere. Come le famiglie delle vittime degli attentati dell’11 settembre, anche i Reduci dell'Iraq contro la Guerra dicono Non in nostro nome". James ha una scritta tatuata sui due avambracci. “Significa soldato d’inverno”. Nell’agosto del 1970 alcuni reduci della guerra in Indocina fondano i Vietnam Veterans Against the War. Vogliono organizzare un tribunale sui crimini di guerra americani in Vietnam e farci un filmato. Il progetto si chiama Winter Soldier, per un discorso di Thomas Paine, intellettuale della rivoluzione americana, quando i soldati dell’estate, si dileguano durante le gelide ritirate d’inverno. James, però, sulle braccia se l’è tatuato in arabo.