Documento senza titolo
Mi ricordo a Chilimarca, durante un’assemblea, quando una  nonna di 15 nipoti iniziò a discutere con l’ingegnere, laureato in  Gringolandia, che aveva disegnato il sistema di fognature per la zona, dove  abitavano più di 100 famiglie.
  La nonna gli disse che il suo disegno e in particolar  modo il diametro dei tubi in PVC (plastica) non potevano bastare per il  trasporto della “cacca” di lei e dei suoi nipoti. Suo marito, che era morto  qualche tempo prima, fu un minatore specializzato nelle connessioni dei tubi all’interno  delle miniere, e in un qualche modo le aveva trasmesso le conoscenze di tanti  anni di lavoro, passati ad ossigenare la miniera e ad evacuare i rifiuti. La  nonna discuteva di questo con l’ingegnere, il quale cercava di spiegare a lei e  all’assemblea del quartiere che tutto era “freddamente calcolato”, che il  diametro del tubo era proporzionale alla pendente che aveva il quartiere e che  le feci sarebbero scese senza difficoltà fino all’impianto di trattamento.
  Alcune signore, che erano anch’esse presenti  all’assemblea, protestavano perché l’incaricato delle istallazioni della zona  alta, chiamato Alberto, si era probabilmente approfittato della sua carica di  dirigente per interrare tubi di maggiore diametro nella propria strada e che  per questo la “cacca” passava con maggiore facilità ed era così che si  garantiva la sostenibilità del sistema fognario nella zona.
  In quel momento fui obbligato ad intervenire, non tanto  per collocarmi in una posizione intermedia, quanto per avvalorare la ricchezza  della discussione: l’apprendimento reciproco, la trasmissione di conoscenze e  saperi tra tutti coloro che partecipavamo all’assemblea, e inoltre la  ri-costituzione delle pratiche del controllo sociale e recupero della fiducia  dell’uno verso l’altro.
  E la verità fu che ci rendemmo conto tra tutti coloro che  partecipavano all’assemblea, la nonna e i nipoti inclusi, così come l’ingegnere  che aveva studiato negli spazi di generosità e saggezza dello Zio Sam, che la  discussione per la soluzione di un problema di salute, di un servizio basico,  perché la cacca non rimanga più nelle strade o nei pozzi ciegos delle case, ci  obbligava a ri-stabilire spazi di recupero della parola. Questo accadde nella  discussione tra la nonna e l’ingegnere: il vederci come uguali, come persone  che soffrivano le difficoltà in maniera congiunta, il rispetto e la trasparenza  perché nessuno potesse approfittarsi della sua situazione o posizione per  ottenere vantaggi, e che la soluzione per soddisfare le nostre necessità e  costruire il nostro benessere, partiva necessariamente dall’azione collettiva  di tutti noi.
  Per questo considero che il lavoro della  vita quotidiana della gente è molto importante perché ci permette di ricostruire  i vincoli rotti dalla società “moderna” e imposti dall’individualismo, dalla  divisione del lavoro intellettuale da quello manuale, dalla divisione tra  “saggi” e ignoranti, ci permette di ri-comporre le relazioni fraterne al di  fuori della mercificazione, che spesso ha sostituito la reciprocità, il lavoro  volontario e non remunerato, il riconoscerci e l’uscire dal nostro isolamento  domiciliare, di fronte al televisore o ai “chefare” della casa, cioè uscire nel  cortile del quartiere, come compagni e compagne, come fratelli e sorelle, tra  più grandi e più piccoli, tutti uniti per gestire e consumare le nostre vite e  le nostre bevande, insieme. 
 
Un racconto di Oscar Olivera, portavoce della Coordinadora de Defensa del Agua y la Vida