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Durante la prima quindicina di settembre, le regioni del nord, est e sud della Bolivia hanno vissuto nel caos. Ancora oggi, quando l’uragano di violenza, confusione e morte scatenato dalle regioni “autonomiste” sembra essersi placato e si è aperta una difficile negoziazione tra il governo centrale e i prefetti dei dipartimenti non conformi, che annovera inoltre intermediari e osservatori nazionali e stranieri – tra i quali rappresentanti di varie chiese insediate in Bolivia e funzionari della OEA (Organizzazione degli Stati Americani) – la tensione interna non smette.
Così come normalmente accade nei recenti conflitti interni di diversi paesi, la comprensione degli eventi risulta estremamente difficile a causa del numero di dispute, di vecchia e lunga data e a diversi livelli, che normalmente si intricano configurando scenari inediti. Il proposito delle seguenti pagine è, basicamente, mostrare schematicamente lo spiegamento degli ultimi avvenimenti che sfociarono nel massacro de El Porvenir nel dipartimento del Pando; presentando contemporaneamente elementi per identificare i diversi componenti in conflitto.
Gli avvenimenti
A grandi linee questi sono gli avvenimenti principali che ci aiutano a inquadrare ciò che sta succedendo oggi in Bolivia:
- Dopo il referendum del 10 agosto i dirigenti civici lanciarono una nuova offensiva politica per togliere importanza al contundente trionfo elettorale del governo di Evo.
- Dopo un lungo momento di sbalordimento governativo, il 28 agosto il governo lanciò il suo piano del referendum per l’approvazione della Costituzione e per le elezioni dei sub-prefetti.
- A questo i dirigenti regionali organizzati nel CONALDE (Consiglio Nazionale Democratico) risposero con ancora maggiore aggressività. Il governo del MAS replicò cacciando l’ambasciatore USA Philip Goldberg.
- Diverse organizzazioni sociali, soprattutto nell’Oriente, nel dipartimento di Chuquisaca e Tarija, reagiscono e vanno poco a poco stabilendo nuclei di resistenza, di deliberazione e decisione locale rispetto la migliore forma di affrontare l’attacco delle elite.
- I civici di Pando e il Prefetto Fernández, insieme alle mafie di questo dipartimento al confine con Brasile e Perù, letteralmente “oltrepassano a destra” al CONALDE e perpetrano il massacro del giorno 11 ne El Porvenir.
- Le Forze Armate, o parte, reagiscono e si piegano alle posizioni del governo: appoggiano lo stato d’assedio dichiarato nel dipartimento, si fanno carico della situazione, occupano la Prefettura, recuperano le istituzioni occupate e detengono al prefetto assassino.
- Gli altri Comitati Civici cercano di riorganizzarsi e cominciano, per il momento, una schizofrenica campagna di controinformazione affermando che “i morti del Pando sono morti di Evo1”. La tensione sociale cresce al massimo.
- Si apre una difficile negoziazione, che continua fino ad oggi, con l’appoggio offerto al governo di Evo Morales da parte dei paesi vicini e, in particolare, dal Brasile. Comincia una specie di tregua e il conflitto riprende canali più istituzionali2 .
Giorni di scontro e morte
Venerdì 5, conclusasi la prima settimana dopo aver emesso il “pacchetto dei decreti” che il governo Evo Morales pianificò come cammino politico per, citando le sue stesse parole, “continuare avanzando nel processo di cambio 3 ”, successero i seguenti fatti: gli uffici delle “Rappresentanze Presidenziali4 ” furono attaccati a Santa Cruz, Tarija, Trinidad (capitale del Beni) e Cobija (capitale del Pando); a Santa Cruz, l’ufficio fu, inoltre, saccheggiato e le attrezzature distrutte. In altri incidenti più violenti, gruppi di giovani paramilitari dipendenti del Comitato Civico del Pando occuparono gli uffici della prefettura, l’aeroporto, e razziato un aereo che trasportava a questa città equipaggiamento “antisommossa” per la polizia5 . Intanto, a Tarija, al sud del paese, gli universitari occupano l’ufficio del Servizio delle Imposte Nazionali (SIN).
Questo fu solo l’inizio, poiché nei giorni seguenti le cose andarono peggiorando. Martedì 9 settembre, l’esempio dell’occupazione di istituzioni iniziato a nord, nel quasi isolato e poco abitato dipartimento di Pando dove il Prefetto Leopoldo Fernández si è arrogato perfino il diritto di nominare un nuovo direttore dell’Istituto Nazionale di Riforma Agraria (INRA), si generalizzò fino alle altre regioni convulsionate. A Santa Cruz principalmente, i membri dell’Unión Juvenil Cruceñista (UJC – Unione Giovanile Cruceñista) occuparono uffici pubblici, li saccheggiarono, ne incendiarono alcuni e occuparono le strade durante tutto il giorno in sistematici scontri contro la polizia.
L’obiettivo fu, apparentemente, oltre che causare un gran caos, impadronirsi degli uffici di riscossione delle imposte, dell’Istituto Nazionale della Riforma Agraria, di Migrazione e di ENTEL, l’impresa di telecomunicazioni recentemente “nazionalizzata”.
La forza con la quale questi gruppi di scontro riuscirono a fronteggiare e neutralizzare la vigilanza della polizia e militare delle istituzioni occupate si basa, in primo luogo, nella forma di agire compatta così da non essere troppo numerosa, nella sua organizzazione paramilitare e nell’uso tuttavia non massivo di alcune armi ed esplosivi. In secondo luogo, in una grande quantità di veicoli a propria disposizione che ha consentito il rapido trasferimento delle proprie forze e ampia capacità di manovra; inoltre non hanno avuti dubbi nel sfracellare alcuni di questi veicoli contro le porte degli uffici pubblici per aprirle. In terzo luogo, in tutti questi eventi c’è una strana, oscura e sistematica incapacità della forza pubblica nel lavoro di contenimento, al di là che gli ordini ricevuti siano di “evitare la provocazione” a qualunque costo e di cautela estrema.
Alla fine il climax di violenza arrivò la mattina del giorno 11 settembre in un blocco lungo la strada per Cobija, Pando, nell’Amazzonia boliviana: un contingente numeroso di contadini, raccoglitori di castagna, studenti e commercianti al dettaglio, uomini, donne, bambini e anziani, si spostava molto presto verso la capitale del dipartimento per riunirsi in un’assemblea e decidere i passi successivi per frenare la perdita di controllo seminata dalla Prefettura e dai “civici”, quando astutamente e brutalmente furono fermati nella metà del ponte che entra verso la comunità de El Porvenir e assassinati a colpi d’arma da fuoco da funzionari della stessa Prefettura e da gruppi di sicari formati da alcuni grandi allevatori e narcotrafficanti della zona. Fu un massacro, una carneficina: spararono fino all’ultima cartuccia e poi, terminarono a colpi di machete coloro che ancora si muovevano. Alcuni uomini e donne terrificati che scappavano correndo per i sentieri della foresta furono inseguiti. Il saldo di questa azione è, finora, di 25 persone assassinate, più di 70 feriti di arma da fuoco e machete e più di 100 scomparsi.
Le scene che descrivono i sopravvissuti con le proprie testimonianze, così come le foto dei cadaveri che cominciano a poco a poco a venire a conoscenza, mostrano corpi mutilati, bambini colpiti da armi da fuoco, corpi sfiniti6 . le immagini ricordano i massacri successi in Africa: questa è la follia criminale che si è scatenata nel nord boliviano.
Cosa sta succedendo?
Il clima di disobbedienza civile, blocchi stradali, occupazione di istituzioni e aggressioni ai funzionari del governo centrale e, alla fine, di criminale massacro dei contadini che si sta verificando soprattutto nella parte nord della cosiddetta “Media Luna” - Pando, Beni e Santa Cruz – assume l’apparenza di un crescente scontro fra, da una lato, il governo di Morales e alcune organizzazioni sociali vicine e, dall’altro, le autorità politiche e “civiche” dei dipartimenti della regione conosciuta come la Media Luna. Ciò nonostante, nelle seguenti pagine imbastirò l’argomento tentando di leggere i fatti prima menzionati come una guerra civile in moto in quattro fronti simultanei: il governo di Morales e il MAS; le elite regionali guidate dai Comitati Civici e patrocinate dalle Prefetture; le Forze Armate e la Polizia Nazionale della Bolivia e, per ultimo, l’insieme delle organizzazioni, collettivi, federazioni, giunte e tutti i tipi di corpo di aggregazione che costituiscono la forza più intima ed energica della società boliviana. Andiamo passo a passo descrivendo ciò che hanno fatto ognuno di questi attori, per cercare di fare chiarezza nella matassa di violenza e conflitti che si sono scatenati.
A prima vista ciò che si vede è, effettivamente, il confronto tra il governo centrale e le autorità politiche e civiche delle regioni che durante più di un anno sono stati protagonisti di un prolungato conflitto in due linee argomentate: a) l’approvazione o no della nuova Costituzione Politica dello Stato e b) il destino delle risorse straordinarie ottenute dallo Stato attraverso la vendita del gas a migliori prezzi internazionali e in base a nuovi contratti con le imprese multinazionali.
All’inizio del conflitto si accumulano già varie scaramucce come il trasferimento della sede dell’Assemblea Costituente da Sucre a Oruro nel dicembre scorso e l’attuale negativa radicale opposizione dei Prefetti e dei Civici della Media Luna al referendum per l’approvazione della Costituzione, presumibilmente, in gennaio del prossimo anno. In termini politici, alla nuova Costituzione Politica dello Stato, le forze civiche regionali e i Prefetti oppongono i propri Statuti Autonomisti Dipartimentali.
Nella sostanza, le differenze fra questi due progetti sono le seguenti: la nuova costituzione propone una complicata struttura statale che riconosce autonomie dipartimentali anche indigene, regionali e inoltre, mira all’elezione diretta delle autorità delle sub-prefetture provinciali – che finora non occorre. La proposta di organizzazione territoriale di governo per livelli contenuta nella Costituzione, nonostante riconosca quasi senza differenze le forme di rappresentazione politiche liberali, apre sicure procedure per promuovere un possibile controllo territoriale dal basso e, senza dubbio, costituisce un ampliamento democratico a livelli locali.
Da parte sua, il proposito degli Statuti Autonomisti di Santa Cruz in materia di organizzazione politica dei dipartimenti, che stanno servendo come modello per le altre regioni “autonomiste”, consiste basicamente nello stabilire la sovranità politica, fiscale, in materia di risorse naturali e di uso e usufrutto delle terre, per i propri dipartimenti. Le autonomie non propongono un piano di “federalizzazione”, che potrebbe contemplare il passo di una serie di attribuzioni e diritti dal governo centrale verso i dipartimenti così sovrani e uniti in un patto federale.
Ciò che propongono è che l’insieme completo di competenze statali passi dal governo di La Paz ai dipartimenti e, esplicitamente, propongono di non lasciare nessuna funzione in mano al governo centrale: né la decisione circa il possesso di terre e la dimensione della proprietà, né la prerogativa di usare e usufruire delle ricorse naturali contenute nei dipartimenti, né la facoltà di riscuotere imposte o di organizzare il commercio estero. Niente di tutto ciò, d’accordo agli “statuti autonomisti” del Comitato Civico di Santa Cruz sarà funzione del governo centrale ma, bensì, ciascun dipartimento autonomo procederà secondo le proprie considerazioni politiche. Inoltre, la struttura del governo che propongono semplicemente copia, a livello regionale, esattamente la stessa forma, verticale e centrale, che criticano a livello nazionale; considerando che questa concentrazione della capacità di decisione sia il meglio per il livello dipartimentale.
Questa disputa di fondo per le forme politiche con le quali bisogna controllare, amministrare e gestire tanto i territori che compongono la Bolivia come le risorse presenti in essi, è il più profondo conflitto che si gioca nel grande scenario politico nazionale. In questa disputa si contrappongono il presidente, il governo centrale, il MAS e i Costituenti, contro i Prefetti dei dipartimenti “autonomisti”, le elite regionali, i grandi proprietari terrieri e, in generale, gli impresari dell’agro-industria, l’allevamento, il narcotraffico, e coloro che hanno a che fare con gli idrocarburi.
Intrecciato con il precedente antagonismo si snoda il secondo livello di conflitto governo-regioni, il più immediato e quello che è stato il cavallo di battaglia degli ultimi mesi – la disputa intorno alla distribuzione dell’imposta diretta agli idrocarburi (IDH), ovvero, quanto e come delle risorse statali possa essere speso da ciascuna autorità politica.
Nel successivo e più significativo livello di conflitto, che è andato aprendosi sistematicamente e costantemente almeno dall’11 gennaio 2007 a Cochabamba, rientrano le molteplici azioni, manifestazioni, discorsi e aggressioni intraprese dai dirigenti dei Comitati Civici, dalle elite locali e dai Prefetti per intimidire e impaurire la popolazione semplice e lavoratrice delle rispettive regioni. Comprese le azioni e aggressioni per farla tacere, dividerla, paralizzarla e confonderla. Diversi momenti possono setacciarsi da più di un anno e mezzo in questa direzione, quasi tutti con lo stesso formato: si installa una “rivendicazione delle elite” nell’immaginario sociale e nel discorso pubblico. A Cochabamba nel gennaio del 2007 la questione fu “difendere” l’oggi revocato prefetto Reyes Villa e “buttare fuori” dalla “sua” città gli “odiosi cocaleros assediatori”. A Sucre, tra l’ottobre del 2007 e il maggio del 2008, il tema dell’agitazione fu la “capitalía plena” (spostamento di tutti i poteri da La Paz, capitale amministrativa, a Sucre, capitale costituzionale) e i diritti ancestrali dei signorotti sucrensi a essere i burocrati e funzionari statali di maggior rango. Nell’Oriente, il tema centrale è l’“autonomia”, così come la intende uno dei maggiori proprietari terrieri di Santa Cruz, Branko Marinkovic, che per di più funge da dirigente civico.
Per incoraggiare e registrare come centrale una domanda mobilitatrice delle elite contro i settori lavoratori rurali e urbani, i mezzi di comunicazione, così come alcune università e organizzazioni non governative di recente creazione, hanno giocato un ruolo decisivo. I secondi hanno “inventato” e incoraggiato questa domanda in forum, articoli e tutti i tipi di riunioni; i primi hanno funzionato da cassa di risonanza delle elite, insistendo fino alla sazietà con questi “temi nuovi e sensibili alla popolazione”.
Queste “domande regionali” sono state il meccanismo per instaurare divisioni binarie all’interno dei distinti dipartimenti. A Sucre “quelli che appoggiano la capitalia plena contro quei MASistas (del partito del MAS) che non la vogliono e che sono traditori della regione”, nell’Oriente “quelli che appoggiano l’autonomia di Santa Cruz (o del Beni o Pando) contro quei MASistas traditori della regione”. Questo schema di divisione e classificazione della popolazione, così come il linguaggio aggressivo e viscerale, sono stati la caratteristica durante gli ultimi mesi. La reiterazione sistematica ha conformato un ambiente di odio e aggressione intrapresa dalle elite e dai suoi sicari contro i lavoratori, abitanti umili, cittadini e persone sensate in genere. Questa atmosfera di confronto e un diffuso clima di guerra si ha rafforzato man mano, anche data la ferocità delle bande di “giovani cruceñistas”, “giovani per la democrazia” a Cochabamba e Sucre, ecc., che a calci e pugni intimidiscono la popolazione meno protetta, aggiungendo alle loro azioni già conosciute, durante le ultime due settimane, i saccheggi e incendi delle sedi sindacali e organizzative, il saccheggio a mercati e la distruzione di abitazioni.
Questo insieme di comportamenti e azioni sono gli elementi più nitidi della guerra civile scatenata in Bolivia: sono le elite regionali in diretto raffronto contro la popolazione umile e lavoratrice, come è evidente dopo i massacri di Porvenir e l’incendio del Municipio di Filadelfia. L’obiettivo di tutto ciò è stato, finora, scatenare un’offensiva di dissuasione di grande portata per paralizzare qualunque parvenza di dissenso e resistenza, ed anche, come effetto di ciò, mostrare la debolezza del governo ad assicurare il controllo del territorio e la protezione della popolazione. Questo accade, soprattutto, perchè di fronte alla sistematica aggressione delle elite contro la popolazione umile delle regioni, il governo centrale ha risposto, in generale, in maniera timida, impacciata e tardiva – “senza porre limiti”, così come è stato espresso in cento riunioni di base.
Lo scenario di guerra si completa, inoltre, con la sistematica offensiva mediatica che già da vari mesi, a ogni passo confonde e oscura la comprensione di ciò che accade. Per esempio, in relazione agli scontri di martedì 9, particolarmente feroci nella città di Santa Cruz, la strategia della comunicazione dei dirigenti civici fu immediata e simile in tutti i casi: nello stesso momento in cui le brigate paramilitari assalivano la polizia e la popolazione di pelle scura e tratti indigeni – qullas – e le aggressioni erano mostrate e annunciate per televisione come “atti di resistenza per l’autonomia”, tutti i portavoce “civici” facevano dichiarazioni, mandavano lettere e ripetevano alla nausea che “Evo è un assassino”, che “Evo è il responsabile della violenza scatenata”, che è lui colui che “sta aggredendo ai cruceños e ai boliviani”.
Malgrado tutto, la resistenza comunitaria e popolare, tendenzialmente autonoma e solidale non è assente. È proprio questa, nella sua energica molteplicità, che è rinata nelle ultime settimane dopo più di 30 mesi di governo Morales. Diverse organizzazioni, con maggiore o minore vicinanza al MAS, partecipanti occasionali o abituali della Coordinadora Nacional para el Cambio (CONALCAM, Coordinamento Nazionale per il Cambio), stanche sia di subire le aggressioni e vessazioni da parte dei civici e dei loro paramilitari, che di aspettare azioni drastiche del governo che segnano lo stop agli abusi e alla violenza dei primi, hanno cominciato poco a poco a organizzarsi, a discutere, a prendere la parola recuperando la varietà di voci e toni che costituisce la ricchezza più vitale delle lotte boliviane recenti. E, soprattutto, hanno cominciato ad agire.
Dopo il contundente blocco alla città di Sucre effettuato da parte dei comunitari quechuas alla fine di agosto, i produttori di foglia di coca stabilirono un blocco a Santa Cruz dall’Occidente, in un’azione realizzata in coordinamento con il governo che interruppe la comunicazione Santa Cruz-Cochabamba nella regione del Chapare.
Di uguale importanza è stata nelle ultime settimane la resistenza nell’insediamento urbano Plan 3000 a Santa Cruz, dove durante vari giorni gruppi di abitanti, giovani del quartiere e diversi lavoratori di origini qulla hanno resistito e affrontato le bande paramilitari “cruceñistas”. Di fatto, anche in Pando, i contadini massacrati e quelli che tuttora seguono nascosti nella foresta, feriti e agonizzanti, stavano andando a una riunione nella quale il punto da discutere era come intraprendere la resistenza contro la violenza dei civici e come affrettare la riforma agraria.
Così, negli ultimi giorni sono state realizzate riunioni d’emergenza in quasi tutta la geografia boliviana: nella Chiquitanía al nord della città di Santa Cruz e verso il Beni, nelle vaste regioni guaraníes al sud, a Cochabamba, a El Alto. I comunicati che le organizzazioni sociali emettono hanno una similitudine: tutti si dichiarano in stato di emergenza, intimano il governo a che utilizzi i mezzi a sua disposizione per processare gli assassini del Pando e stabiliscono, parola più, parola meno, che andranno al combattimento per conto proprio e a proprio rischio, che non permetteranno più la brutalità né la insolenza dei sicari affini ai dirigenti civici.
In tutti i comunicati pubblici e interventi recenti si nota un nuovo margine di autonomia politica recuperata di fronte alle decisioni governative, da parte di diverse e importanti organizzazioni sociali in Bolivia. E, chiariamo, non è che queste organizzazioni siano “contro” il governo Morales. A questo governo lo appoggiano, lo vogliono, lo hanno ratificato il 10 agosto scorso con la votazione in massa al referendum; però stanno, adesso sì, rendendosi conto poco a poco che il governo non sarà capace di contenere l’offensiva da solo. Ancora una volta, migliaia e migliaia di uomini e donne in Bolivia si stanno rendendo conto che la trasformazione delle relazioni sociali e politiche non è una questione che possa farsi “dall’alto al basso”. Vedono il governo come un alleato, però non sono, almeno tendenzialmente, disposti a subordinarsi al fatto che questo governo possa garantire ciò che anelano. In questi 30 mesi hanno appreso che questo non è possibile. Con cautela ed energia si lanciano poco a poco a combattere con le proprie forze. Come ieri, come sempre.
Questa varietà di azioni di resistenza sono quelle che negli ultimi giorni hanno rappresentato lo scivoloso scenario mobile dei conflitti multipli. La delirante e sistematica aggressione dei civici è stata affrontata poco a poco dalla popolazione in termini locali ed, anche, certamente, come telone di fondo, c’è il salto in avanti che il governo intraprese il 28 agosto stabilendo il suo piano politico a breve termine. Questo ultimo non ha fatto che accelerare l’aggressione e la follia delle elite, manifestata con i cadaveri impilati nel Porvenir.
Intanto, il quarto fronte di questo scontro è costituito dalla forza pubblica in Bolivia. La Polizia Nazionale – entità unica con delegazioni dipartimentali gerarchicamente organizzate e dipendenti da un comando centrale – così come le Forze Armate, si sono mosse con cautela e, finora, sono rimaste nella scena solo come attore di distribuzione.
Durante tutto il piano di controffensiva, i dirigenti civici hanno avuto particolare attenzione nell’aggredire e offendere quanto hanno potuto la polizia e i militari, cercando forse, di generare malessere e appostando a scatenare una ribellione militare. Se quelli che sono stati più aggrediti sono stati i comunitari, contadini e lavoratori, uomini e donne, delle aree rurali, i successivi nella lista sono stati le classi e la truppa della polizia nazionale e il corpo di polizia militare che è stato aggredito con dinamite e umiliato nello stadio della città di Sucre il 24 di maggio. La polizia, inoltre, ha dovuto sopportare stupefatta la presa a calci del suo comandante generale meno di tre settimane fa nella città di Santa Cruz.
Finora, in tutti questi conflitti l’ordine governativo alle forze armate e di polizia sembra essere stata di contenere e avere la maggior attenzione nel non aggredire. In molte occasioni durante le ultime settimane, la popolazione boliviana si è chiesta perchè le forze pubbliche non intervenivano e detenevano gli abusi dei civici in maniera contundente. Un’ipotesi interessante che circola tra diversi gruppi è la seguente: c’è una imbarazzante assenza di comando nella forza pubblica, i comandanti della polizia e dell’esercito non hanno la garanzia che la truppa li seguirà se decidono di ribellarsi contro il governo del MAS e piegarsi ai civici, però il governo, a sua volta, non ha la sicurezza che le forze armate reprimeranno i dirigenti civici né che controlleranno la situazione se viene dato l’ordine7.
Questo ultimo punto sembra essersi modificato negli ultimi giorni con l’intervento militare del dipartimento del Pando e la cattura del prefetto, Leopoldo Fernández, accusato di comandare il massacro del Porvenir. La tensione tra l’autorità politica e la forza militare sembra aver ceduto un poco e bisognerà guardare con attenzione ciò che succede nei prossimi giorni.
Come comprendere gli avvenimenti più recenti e cosa ci si può aspettare?
Tenendo in mente le linee basiche di questo conflitto a quattro fronti seguono alcune ipotesi schematiche:
I fatti degli ultimi giorni presentano alcuni scenari possibili che sono incerti nonostante, forse, un po’ più prevedibili che alcune settimane fa.
In primo luogo, è ogni volta più chiaro che ciò che vogliono i più recalcitranti proprietari terrieri e dirigenti civici, così come il governo degli USA, è consolidare in Bolivia un clima di intenso scontro civile. I rappresentanti della OEA e dell’ONU8 chiamati dai Comitati Civici alla mediazione nel “conflitto interno della Bolivia”, così come lo catalogano; la forma con cui i principali mezzi di comunicazione nordamericani presentano e spiegano la situazione, e le campagne di propaganda e disinformazione interna che portano a capo i mezzi di comunicazione, tra le altre cose, così lo indicano.
Se dopo il referendum quando Morales fu ratificato dai 2/3 della popolazione apparve chiara la forza dell’opposizione politica rappresentata dai Comitati Civici, a livello nazionale è minoritaria. Inoltre andò chiarendosi la interrogante rispetto le vere intenzioni di questi Comitati: non cercano di raggiungere nessun accordo con il governo centrale. Ciò che tentano di fare, con un mezzo o l’altro, di volta in volta, è generare confusione, introdurre la maggiore instabilità possibile, bloccare l’iniziativa politica che è consacrata nell’approvazione della Costituzione e, per ultimo, guadagnare tempo affinché tutto continui uguale, affinché qualunque misura governativa sia il più inefficace possibile e, infine, per revocare in qualsiasi momento e per qualsiasi via il dislocamento del governo legittimamente eletto e ratificato.
La chiarezza che rispetto a questo punto hanno lasciato i tragici eventi di settembre risulta, paradossalmente, incoraggiante. Nei mesi precedenti e addirittura fino al referendum del 10 agosto, sembrava possibile, da un lato, che il governo centrale arrivasse a un qualunque tipo di accordo politico con le Prefetture e i Comitati Civici “autonomisti”. Morales, García Linera e diversi ministri del gabinetto, diverse volte negoziarono, offrirono e cercarono meccanismi di dialogo, senza esito, per arrivare a compromessi. Oggi, dopo il massacro de El Porvenir, la detenzione del Prefetto Fernández e le crisi dei processi e le contro domande che si sono scatenate, sembra che proprio il governo sia più deciso rispetto la necessità di stabilire limiti all’azione dei Comitati Civici e dei Prefetti e di obbligarli ad attenersi a procedure legali per manifestare le proprie non conformità.
Dall’altro lato, anche per la popolazione semplice sembra essersi chiarita la situazione: recuperare la capacità di deliberazione e mobilitazione, tanto per “frenare” l’offensiva delle elite, così come mostra il crescente assedio alla città di Santa Cruz, come per spingere il governo a che non negozi né ritrai ciò che da anni è la volontà sovrana della popolazione espressa nelle urne e nelle strade: dotarsi di un nuovo quadro legale per regolare le relazioni sociali e politiche.
In generale, la situazione continua ad essere delicata e la confusione, nonostante minore, è ancora grande. I discorsi che hanno cominciato a trasmettersi rispetto al massacro dei contadini del Pando sono versioni diametralmente contrapposte. Una cosa dicono i sopravissuti che poco a poco vanno apparendo mentre i dirigenti civici continuano ad insistere nel nascondere e mascherare i propri fini e i propri modi. Tuttavia, la popolazione boliviana e i governanti dei paesi vicini, poco a poco ratificano la propria posizione di condanna del massacro: sono i prefetti, i dirigenti civici e i loro gruppi di sicari coloro che spararono le armi assassine, loro organizzarono la carneficina dei feriti.
Giorno per giorno, i governi di Argentina, Cile, Venezuela e, soprattutto Brasile, hanno ripudiato i fatti di sangue, e appoggiato il governo Morales e contengono, attraverso il proprio appoggio, le proprie dichiarazioni e presenza, qualunque intenzione di invasione “pacificatrice” o di invio di truppe di occupazione che potrebbe cominciare a pianificarsi nella discussione politica internazionale.
È molto probabile che nelle prossime settimane la Bolivia attraversi uno spazio di tregua nonostante, insistiamo, il conflitto non è terminato; unicamente si è ripiegato a canali istituzionali che, e speriamo sia così, evitino nuove morti. Tuttavia, l’insieme di cause che convulsionarono il paese cuore dell’America del Sud continuerà aperto, latente ... in agguato.
In queste circostanze tanto l’informazione come la possibilità di comprendere ciò che succede è vitale per tutti. Bolivia è oggi, nuovamente, non solo un luogo dove si condensa la lotta della società lavoratrice per modificare dal basso l’insieme delle relazioni sociali; è, purtroppo, anche, il luogo dove con maggiore bellicosità si scatena la modalità contemporanea di confusione e violenza in vortice per la distruzione dei paesi, che spingono tanto il governo statunitense che i suoi alleati locali. La speranza in Bolivia è presente nonostante tutto. Non poggia né solo né principalmente nell’abilità del governo Morales per continuare nel governo spingendo il suo progetto progressista; risiede, più che altro, nella nuova ebollizione che comincia a sentirsi una volta di più dal basso, dai popoli, dalle comunità.
Note
- In un cinico comunicato del Comitato Civico di Santa Cruz datato 16 settembre, quando i primi cadaveri del Pando arrivavano a La Paz in aereo e il paese si commuoveva di fronte alla brutalità sofferta da queste persone, i dirigenti civici affermavano il seguente nel punto 4 del loro documento: “Chiamare la popolazione a non cadere nella trappola di farsi provocare dalla violenza che vuole incitare il MAS. Inoltre, chiediamo al presidente Evo Morales di sospendere questa strategia di provocare violenza; e dichiariamo davanti alla nostra popolazione, davanti al paese e al mondo, che la nostra volontà è di pace e che qualunque atto violento sarà responsabilità esclusiva del MAS, sei suoi dirigenti e del governo nazionale che è colui che controlla a questi militanti masisti”.
- Esempio della ritirata del conflitto a livelli istituzionali dopo la detenzione del Prefetto Fernández sono i seguitigli di processi che si sono aperti in una settimana: la Corte Suprema - capeggiata dai Magistrati nominati ancora sotto l’anteriore regime di “cuoteo partidario” – chiede che tutti gli operati e il detenuto - ie, Leopoldo Fernández – siano sotto la sua competenza e pretende limitare la giurisdizione di altre istanze per la sua cattura e per il trattamento del suo caso; inoltre, inizia un giudizio al Ministro del Governo per i fatti avvenuti lo scorso 24 e 25 novembre a Sucre quando l’Assemblea Costituente dovette traslocarsi a Oruro. Da parte loro, i sopravissuti al Massacro e i famigliari degli assassinati aprono un giudizio al Fiscale Generale della Nazione per omissione di funzioni nel caso del Massacro.
- La notte del 28 agosto, il governo pubblica un “pacchetto di decreti supremi” con i quali convoca la società a un congiunto di nuovi comizi da realizzarsi, inizialmente, il prossimo 7 dicembre; in questa data si è proposto portare avanti un congiunto di tre elezioni – per eleggere i prefetti nei dipartimenti dove furono revocati, i sub-prefetti delle 112 province e i consiglieri dipartimentali – così come per sottomettere a votazione l’approvazione del testo della nuova Costituzione Politica dello Stato, e dirimere, inoltre, rispetto all’articolo 398 sull’estensione legalmente permessa della proprietà agraria. Un’analisi più ampia rispetto il piano governativo si trova in Gutiérrez Raquel, Territorios en disputa: confusos escenarios de conflictos superpuestos, ircamericas , agosto 08.
- Le “Rappresentazioni Presidenziali” sono cariche pubbliche inaugurate nell’aprile del 2007 che hanno una funzione parallela alla Prefetturale. Nella struttura politica dello Stato Boliviano, fino al 2005 i Prefetti dei dipartimenti, chiamati anche “prima autorità politica”, erano designati dal Presidente della Repubblica. A partire dal 2005 queste cariche tornarono ad elezione popolare e, nei cinque dipartimenti menzionati esistono attualmente Prefetti contrari al governo di Evo Morales. In questo contesto, la designazione di “Rappresentanze Presidenziali”, che in teoria “coadiuvano” al coordinamento tra gli oggi Prefetti eletti e il governo centrale, è vista dai Comitati Civici e dalle stesse Prefetture come una duplicazione della funzione pubblica; i “Rappresentanti” sono una specie di intermediatori incomodi e c’è un’ambiguità nelle loro funzioni, per esempio, nel controllo della polizia e nella presa di certe decisioni politiche e amministrative.
- Erbol, Cobija, Pando, 5 settembre 2008. Da parte sua, la Agenzia Boliviana di Informazione completò la notizia spiegando che: “Gli uffici del Istituto Nazionale per la Riforma Agraria (INRA), la Superintendenza Forestale, la Amministrazione Boliviana delle Strade (ABC) e gli uffici di Migrazione nella città di frontiera di Cobija stanno sotto il controllo della dirigenza civica. Anche la Dogana Nazionale permane occupata, però per un numero ridotto di menomati che cercano di ottenere un buono annuale e vitalizio da parte dello Stato”. 6 settembre 2008.
- Ci sono due pagine web dove si possono incontrare informazioni rispetto a ciò che sta succedendo in Bolivia: quella dell’Agencia Boliviana de Información (ABI) per rendersi conto delle questioni ufficiali e Ukhampacha Bolivia che permanentemente informa e collega le diverse denunce disperse rispetto ciò che succede in questo angolo di Bolivia.
- La storia della Bolivia è stata marcata da ricorrenti e cruenti colpi di stato. Dopo il 1982, quando iniziò la cosiddetta “apertura democratica”, i militari si sono mantenuti nelle proprie caserme, stabilendo una pausa al proprio protagonismo diretto nella polizia. Tuttavia, l’idea di “colpo” di stato abita nell’immaginario sociale in Bolivia come un fantasma che, di tanto in tanto, torna a presentarsi come una minaccia; soprattutto in epoche di grande convulsione.
- Il 12 settembre il Comitato Civico di Santa Cruz inviò una lettera al Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, chiedendo l’intervento dell’ONU. In uno dei paragrafi di questa missiva si afferma il seguente: “Dal principio della sua amministrazione, il signor Presidente della Bolivia Evo Morales, oltre che importante produttore di foglia di coca e presidente della Federazione dei cocaleros, dimostrò una malevolenza assolutamente ingiusta e totalmente razzista verso l’oriente boliviano, come anche verso altri settori e regioni della nazione boliviana (come ad es. Tarija, Chuquisaca, Beni, Pando). Nonostante il signore fu eletto per maggioranza, il rispetto a coloro che pensano diversamente è un fattore fondamentale di tutto il processo democratico. Dall’inizio, con la sua condotta ha contravvenuto i patti che conformano l’ordinamento giuridico internazionale, in particolare quelli riferiti alle garanzie democratiche e ai diritti individuali”.
Raquel Gutiérrez è una ricercatrice del Centro de Estudios Andinos y Mesoamericanos (CEAM) in Messico e Bolivia. È analista del Programa de las Américas.
Traduzione di Cristina Coletto