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Il governo ha diffuso la notizia che la  nuova Costituzione Politica dello Stato (CPE) elimina la partecipazione dei  privati nel settore d’acqua potabile e reti fognarie, in particolar modo le  concessioni. Il viceministro all’irrigazione segnalava che nella nuova CPE “le  concessioni si annullano, non c’è più nessuna concessione del servizio idrico”.  La presidente dell’Assemblea Costituente Silvia Lazarte afferma che “la  Costituzione [...] perora per il recupero delle Risorse Naturali (RRNN), come l’acqua,  che non può essere privatizzata”. Ratificando questa informazione, Amnesty  International aggiunge che l’approvazione della costituzione permetterebbe di proibire  “la privatizzazione dell’acqua o la sua inclusione dentro accordi commerciali”;  analogamente, sulla stampa elettronica boliviana, si legge: “La nuova  Costituzione Politica dello Stato garantisce che l’acqua non sarà privatizzata né  i suoi servizi concessionati e acquisisce la categoria di diritto fondamentale”.  (vedi: http://www.tarijalibre.tarijaindustrial.com)
  All’interno  del testo costituzionale, appaiono due modi per eliminare effettivamente la  privatizzazione dell’acqua; uno, eliminare la figura privata nel settore, come  nel modello ecuadoriano, la cui assemblea costituente ha definito che la  gestione dell’acqua è esclusivamente pubblica o comunitaria. Il secondo è lo  stabilire che la gestione dell’acqua e dei suoi servizi costituisce un  servizio, pertanto non avrà fini di lucro, mettendo un lucchetto alla  partecipazione privata. Guardiamo cosa succede nel nuovo modello normativo  costituzionale boliviano.
La CPE definisce  chiaramente un ruolo da protagonista per lo Stato nella gestione dell’acqua: “è  un dovere dello Stato gestire, regolare, proteggere e pianificare l’uso  adeguato e durevole delle risorse idriche, con partecipazione sociale,  garantendo l’accesso all’acqua a tutti i suoi abitanti”(art.374). Si dice  inoltre che “le risorse idriche […] non potranno essere oggetto di appropriazioni  private e tanto queste quanto i suoi servizi non verranno dati in concessione e  sono soggetti ad un regime di licenze, registri e autorizzazioni conformi alla  Legge”. (art. 373 inc.II). Cioè, la risorsa non sarà privatizzata, però,  riguardo al servizio, dice solo che non sarà dato in concessione, non fa nessun  riferimento alle altre forme di partecipazione privata. L’articolo 309  chiarifica il tutto, con l’introduzione dell’impresa mista all’interno degli  obiettivi della forma di organizzazione economica statale (includendo le  imprese e le altre entità economiche di proprietà statale):
“Amministrare  i servizi basici d’acqua potabile e reti fognarie direttamente o attraverso le  imprese pubbliche, comunitarie, cooperative o miste” (art. 309)
  Di fatto,  le forme d’organizzazione economiche riconosciute nella nuova CPE sono: la  comunitaria, la statale, la privata e la cooperativa sociale, le quali “potranno  costituire imprese miste” (art. 306, inc. IV). Insomma, conttraddicendo quanto  affermato dal governo e dagli intellettuali organici, nonostante la maggiore  presenza statale nella gestione delle risorse idriche e dei suoi servizi, la  partecipazione privata non solo non scompare, bensì viene costituzionalizzata  attraverso l’impresa mista, figura giuridica che era assente nella versione  dell’Assemblea Costituente approvata ad Oruro, dove si diceva che i servizi  pubblici verranno amministrati “direttamente o attraverso imprese pubblico-comunitarie”  (art.310).
  Due  fattori tra loro relazionati spiegano questa modifica. Da una parte, il  generalizzato fallimento dei modelli di privatizzazione dei servizi dell’acqua  potabile nel mondo, e la resistenza sociale da essi generata (la guerra dell’acqua  di Cochabamba ha costituito un referente e un modello da seguire per l’attivismo  internazionale dell’acqua), ha obbligato la cooperazione internazionale a  ripensare le strade della partecipazione privata, e la più diffusa è la  cosiddetta “società pubblico-privata”, o imprese miste (Vives, et. al, 2007;  FOMIN, 2005; Benavides, J & Vives, A, 2005). La forma classica della  privatizzazione e/o concessione totale del servizio non viene più difesa da  nessuno, però sì per quanto riguarda le alleanze pubblico-private. E la Bolivia  non è un’eccezione; la figura dell’impresa mista arriva attraverso la  cooperazione internazionale. Non dimentichiamoci che il finanziamento della  voce acqua potabile e sanitizzazione nel Piano Nazionale di Sviluppo (528  milioni di dollari in programmi e progetti di preinvestimento e investimento)  proviene fondamentalmente da crediti e donazioni della coooperazione  internazionale. Oggi, organizzazioni come il BID (Banca Interamericana di  Sviluppo) e la GTZ/KfW, che difendono e promuovono i modelli misti, sono i  principali finanziatori del settore dell’acqua potabile e dell’irrigazione. È evidente  che il governo boliviano ha ceduto alla pressione che suppone le condizionalità  di queste applicazioni, accettando l’impresa mista come un modello di gestione  dei servizi d’acqua potabile e reti fognarie. Questo fatto, senza dubbio, può  orientare il futuro modello dell’impresa d’acqua a La Paz/El Alto, attualmente  in discussione, e aprire la possibilità di un’impresa mista in quelle città.
  Il  dilemma si prospetta per le organizzazioni sociali altegne, in particolarmodo  la FEJUVE (Federazione di Giunte dei Vicini), leader della resistenza contro l’impresa  Aguas del Illimani/Suez: metteranno in discussione la struttura normativa  costituzionale, oggi del tutto appoggiata nonostante leda il principio  antiprivatizzatore che orientò la lotta altegna dell’acqua? 
Oggi, il movimento  nazionale dell’acqua, nell’aver deciso di appoggiare il governo e/o il  processo, in generale è neutralizzato nella sua capacità d’azione collettiva  autonoma, pertanto difficilmente sorgerà un movimento critico della  costituzionalizzazione della partecipazione privata nel settore dell’acqua,  questa volta sotto la forma di impresa mista.
  Infine,  la defezione del governo boliviano di fronte alla cooperazione internazionale,  in un tema fondamentale come la partecipazione privata nel settore dell’acqua,  mostra due cose: oltre alla retorica anti-imperialista dei governanti, la  Bolivia continua ad essere un paese sottomesso al potere sovranazionale delle  multinazionali e delle organizzazioni della cooperazione internazionale. In secondo  luogo, governi che si autodefiniscono come antineoliberisti e di sinistra,  rivendicando una matrice indigena, come nel caso boliviano, non garantiscono  che l’acqua e i suoi servizi non vengano mercificati; ciò è la loro  privatizzazione e la loro articolazione alla diciplina del mercato.
 
Carlos  Crespo è professore di Sociologia presso il Centro Studi Universitario (CESU-UMSS) di  Cochabamba
Traduzione di Andrea Lorini
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Bibliografia:
  - Benvides, Juan & Vives, Antonio (2005) Public private partnership:  from plain vanilla to local flavour; Infraestructure and Financial Market  review, Vol II, No 2. Pp  1-5.
  - Fondo Multilateral de Inversión -FOMIN (2005) Plan de acción para grupos de  proyectos del FOMIN. Apoyo a la competitividad mediante asociaciones público  privadas; 12 pp.
  - Vives, et. al. (2007) Estructuración financiera de proyectos de  infraestructura en asociaciones público privadas: una aplicación a proyectos de  agua y saneamiento; Washington: Banco Interamericano de Desarrollo. 99 pp.