Tre sono i fatti di incontestabile evidenza che saltano agli occhi dopo queste elezioni, il secondo ed il terzo effetti diretti del primo:
- Il colpo di grazia alla democrazia rappresentativa, come forma di governo pur parzialmente democratico e l’ingresso definitivo in un’oligarchia parlamentare dal potere mediatico enorme.
- Azzeramento della rappresentanza parlamentare della sinistra italiana e conseguente azzeramento del conflitto parlamentare (seppur minimo). In altri termini, imposizione del Pensiero Unico.
- Prossima acutizzazione del conflitto sociale e delle manovre repressive-impositive dello Stato.
Sul primo punto penso non ci sia molto da aggiungere dopo anni di dibattiti e tesi che hanno illustrato il fallimento della rappresentanza istituzionale, il definitivo distacco tra società civile e parlamento, avvenuto attraverso la cristallizzazione del sistema della delega, svuotato di ogni forma di “responsabilità” o “mandato del popolo” e divenuto, se mai sia stato altrimenti, semplice strumento di riproduzione permanente delle relazioni di potere esistenti.
Mi concentro invece sul secondo e terzo punto.
Inizio su come celebrare (nel senso estensivo del termine) la seconda “morte”: la “morte” del partito e delle istituzioni della democrazia liberale come spazio di manovra per la sinistra anticapitalista e per il conflitto sociale.
Ritengo che la scomparsa della sinistra nelle istituzioni sia stata determinata dai grossi errori politici dei suoi apparati dirigenziali, che hanno prodotto frammentazione del corpo elettorale di riferimento e astensionismo. Leggo poi il fallimento e la mancata adesione al progetto unitario “la Sinistra l’arcobaleno” come effetto dell’incapacità programmatica e spesso inadeguatezza “morale” nel reinventare una politica istituzionale di sinistra da parte dei partiti “scomparsi”.
Per certi aspetti invece ritengo che fosse una fine prevedibile ed inevitabile.
Nell’affermare ciò tralascio di soffermarmi sul fatto che le forme di lotta più significative dei movimenti sociali italiani e mondiali di questi ultimi 15 anni sono nate, cresciute, sedimentate al di fuori e spesso contro la politica istituzionale e dei partiti politici; di conseguenza trascuro d’argomentare l’evidenza direi “storica” della fine delle istituzioni classiche come spazio di risoluzione dei conflitti e la fine del partito come soggetto protagonista del conflitto sociale.
Mi concentro invece su due ordini discorsivi che cercano di esemplificare quanto l’imposizione del Pensiero Unico sia stata determinante nella “morte” della sinistra istituzionale: il bipartitismo e la necessaria involuzione democratica dello Stato davanti ad una crisi economica.
Circa il primo è evidente che il conflitto parlamentare (con il tracollo della Sinistra) è stato distrutto dalla formazione di un mostro bipartitico (PD e PDL superano il 70%) che fa pensare ad un gioco le cui regole sono state scritte molto tempo fa, ancora prima che venissero lanciate due anni or sono campagne mediatiche che convincessero gli Italiani della necessità di due soli partiti. Riporto qui, a titolo dimostrativo, un estratto del “Piano di Rinascita Democratica”, dal capitolo “Procedimenti”, della Loggia P2, scritto da Licio Gelli e sequestrato nel 1982:
“Nei confronti del mondo politico occorre […] valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilità esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica. In caso di risposta negativa usare gli strumenti finanziari […] per l'immediata nascita di due movimenti: l'uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI - PSDI - PRI - Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l'altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale)”.
Leggendo queste poche frasi, scritte da un genio (“del male” direi) anticomunista, verrebbe da affermare che per la sinistra anti-capitalista parlamentare si tratta di una “morte programmata”.
Con questo non intendo assolutamente sollevare la sinistra dalle colpe che ha ma solo evidenziare quanto il processo in corso includa non solo le capacità o meno di saper creare una rappresentanza in parlamento.
All’interno di un sistema mediatico dalla potenza di fuoco disarmante, gli attacchi che Berlusconi con le sue televisioni lanciava continuamente ai cosiddetti “comunisti” (che sembrava si trovassero ovunque) sono indice della volontà di abolire il conflitto nelle istituzioni. Lo sono state anche le parole di Veltroni che nella campagna elettorale ha evidenziato più e più volte la necessità di abolire e sorpassare con un progetto unitario quei “Consigli dei Ministri”, ritenuti colpevoli delle instabilità politiche, per non parlare del progetto ancor più inquietante del “patto tra i produttori”, esplicita formula che indica il tentativo in atto di abolire il conflitto sociale o quantomeno tenerlo sotto controllo.
A mio parere, questo tentativo di abolizione del conflitto, riuscito almeno a livello parlamentare, dove a un governo di destra, xenofobo e protezionista si affianca un “governo ombra” (per usare le parole dello stesso Veltroni) di centro e liberista, ci introduce al secondo ordine discorsivo che spiega l’avanzata del Pensiero Unico e di una oligarchia parlamentare. Una crisi economica imminente (si parla della più grande nella storia del capitalismo) necessita uno Stato forte con una politica di governo capace di sostenere, senza perdere voti, “politiche impopolari” (per usare le parole odierne di Silvio Berlusconi): pensiamo alle probabili prossime politiche energetiche, dei rifiuti, infrastrutturali, dello stato sociale.
Il bipartitismo istituzionale offre così la possibilità di mantenere una linea politica egemonica, definita, inamovibile sulle questioni di fondamentale importanza strategica come il lavoro, l’ambiente, l’energia. Ed in particolar modo struttura lo Stato nelle forme più adeguate per controllare l’inevitabile acutizzazione del conflitto sociale e per mettere in campo politiche impositive-repressive. L’essenza xenofoba del governo provvederà poi a trovare gli adeguati capri espiatori della crisi economica in arrivo, chiudendo così il cerchio su una politica che mira al controllo totale della società e delle sue possibili reazioni.
Così giungiamo al terzo dei tre punti iniziali che ci riguarda, come movimenti sociali, più da vicino, e che ci interroga in maniera diretta sul nostro prossimo futuro e sull’esito di ciò che in molti anni di lotte abbiamo contribuito a creare.
La domanda è come rispondere da subito ad un’acutizzazione dello scontro sociale, inevitabile con una tale conformazione politica del parlamento, nel momento in cui scompare la rappresentanza istituzionale della sinistra, e alle porte di un periodo in cui dovremo confrontarci con uno Stato che produrrà sulle resistenze in lotta un’onda d’urto di forte impatto.
Chiudo con una nota d’ottimismo.
Così come il crollo dell’Unione Sovietica ha liberato il mondo della rivolta da schemi e ricette ortodosse favorendo la nascita di nuove esperienze di lotta (con la ribellione zapatista del 1994 possiamo segnare l’inizio di questo nuovo periodo), oggi, l’azzeramento della rappresentanza parlamentare della sinistra anti-capitalista, può liberare l’immaginario di un popolo, intrappolato fino ad adesso nel sistema della delega, ed ora costretto nella sua totalità e nell’immediato a dover affrontare un percorso extra-parlamentare, ossia un percorso comune e attivo, senza più trasferimento di responsabilità, in quei luoghi di resistenza che sono stati la vera propulsione democratica degli ultimi 15 anni?
Liberando l’immaginazione è più facile inventare e anche lottare!