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Sorelle e Fratelli
Compagne e compagni:
È per me un enorme privilegio e onore poter essere qui, insieme a voi in questo territorio, di pelle bruna, semplice e nobile, come la sua gente.
Questo privilegio e onore non sarebbe stato possibile senza quello sforzo gigantesco, degno, rabbioso e collettivo di migliaia di uomini, donne, giovani, bambini e anziani del mio paese, dei nostri paesi, che non solo fanno la nostra vera storia, ma che sono anche coloro che scrivono la nostra storia. Non sarebbe stato possibile essere qui e nemmeno l’EZLN avrebbe potuto essere visto e percepito oggi come un grande esempio di dignità e speranza, senza quello sforzo dei nostri fratelli e sorelle indigeni, dei nostri fratelli e sorelle delle città, dei nostri fratelli e sorelle del Messico.
Forse anche per questo oggi sento di non meritare di stare qui insieme a voi, con voi.
Per questo, desidero rendere omaggio a quegli uomini e a quelle donne, giovani, bambini e anziani che nel corso delle nostre lotte furono aggrediti e sequestrati, feriti e ferite, morti e morte affinché la vita continui riproducendosi, affinché noi continuassimo a vivere.
Se qualcosa di comune abbiamo provato, vissuto e sofferto, tutti noi che ci troviamo qui oggi, in questo incontro, è la paura, l’angustia, la discriminazione, il razzismo, il disprezzo, la dimenticanza e ancor più che la dimenticanza, forse, l’essere ignorati.
Però siamo anche stati capaci di sentirci indignati, di ri-trovarci, di organizzarci, di parlare, di mobilitarci, di rallegrarci, di piangere, di ridere, di amare, di odiare, di recuperare le nostre capacità, di avere fiducia nelle nostre forze, di recuperare la nostra VOCE, la nostra parola, ma prima di tutto anche di recuperare la nostra capacità di DECIDERE.
È così che nell’aprile dell’anno 2000, 8 anni fa, affidandoci unicamente alle nostre forze, discutendo faccia a faccia, riconoscendoci come uguali, unendo le nostre forze e debolezze, rendendoci visibili di fronte ai ricchi e potenti, che per molti anni si erano dedicati a mettere a disposizione del capitale transnazionale la nostra patria, le nostre terre, i nostri territori, le nostre imprese, la nostra gente, al cinico e oltraggioso saccheggio e spoliazione di ciò che la Madre Terra, la nostra Pachamama, ci ha dato in modo così generoso affinché coloro che abitano queste terre possano vivere con dignità, giustizia e benessere, come lo fecero i nostri padri e i nostri nonni, come lo dovrebbero fare i nostri figli e i nostri e le nostre nipoti.
Questi che dicono essere governanti e amministratori dello Stato privatizzarono l’acqua, arrivando all’estremo di farlo con l’acqua della pioggia.
Ciò che abbiamo fatto tutti e tutte insieme, di fronte a tanti anni di dittatura del capitale transnazionale, di dittatura dei partiti politici, di caudillos servili alla Banca Mondiale e al FMI, fu, attraverso la nostra lotta, mettere freno ai malgoverni, come dite voi fratelli e sorelle, e siamo riusciti, mediante centinaia di punti di blocco, nella città e nella campagna, a espellere una delle multinazionali più rapaci che esistano, la multinazionale Bechtel, e abbiamo cancellato da una legge fatta alle spalle della gente tutto ciò che significava espropriazione e mercificazione dell’acqua. Cominciammo a camminare in quell’anno, come dice la sorella messicana Raquel Gutierrez Aguilar, nel cammino della nostra propria auto-emancipazione.
Emanciparsi, secondo il significato più classico della parola, significa “togliersi di dosso la mano del padrone”. Questo abbiamo fatto tutti e tutte insieme organizzati nella Coordinadora de Defensa del Agua y de la Vida: cominciammo a toglierci di dosso il giogo del capitale transnazionale, rompemmo il destino della spoliazione e della miseria che alcuni potenti avevano progettato d’imporci come unica realtà possibile, e apprendemmo, facendolo, che eravamo capaci di dirigere noi stessi, intravedemmo che potevamo modificare il significato di ciò che si intende per politica, recuperando per noi stessi e noi stesse, in comune, in assemblee, con il dialogo faccia a faccia, la decisone rispetto alle questioni più importanti che a tutti incombono: le decisioni rispetto a questioni pubbliche smisero quindi di essere occupazione e compito di esperti e politici, e in comune, recuperammo la Voce, la Parola e la Decisione, ovvero non solo siamo riusciti a de-privatizzare la nostra acqua, bensì siamo riusciti a de-privatizzare la politica, intendendola, in maniera molto semplice, come “la forma di auto-regolare la convivenza comune, di dialogare, di confrontare, di decidere e di eseguire”.
In quei giorni ci siamo eretti sopra le nostre due gambe, ci siamo guardati negli occhi fra tutti e tutte, abbiamo deliberato una e un’altra volta ciò che era conveniente; raggiungevamo accordi e li eseguivamo, questo abbiamo fatto, questo avete fatto voi prima del 1° gennaio del 1994. Questa è la nostra forza, questa deve ritornare a essere la nostra forza, questa deve essere sempre la nostra forza.
Nella lunga lotta per recuperare i nostri diritti, per recuperare ciò che fu saccheggiato, per disporre noi stessi, noi stesse di ciò che c’è nei nostri territori, noi, a Cochabamba, Bolivia, con ciò che fu chiamata la Guerra dell’Acqua, siamo stati dei pionieri. Siamo stati illuminazione, ma non comando. Questo volevamo, questo siamo stati.
Sono passati otto anni da quando successe ciò, si sono succedute altre lotte: per la coca, per il gas e per il petrolio. Sono passati alcuni anni in più durante i quali vari compagni sono arrivati al governo, fratelli e sorelle di lotta, sono passati tre anni da quando Evo Morales è stato messo, grazie a queste lotte, dalla gente semplice e lavoratrice del campo e della città, nei governi, nel governo, non perché lo amministri ma perché lo trasformi e non si trasformino essi come è successo fino ad oggi.
Dal 2000 al 2005 ci furono cinque anni di lotta, di recupero delle nostre capacità di indignarci, di ribellarci, di occupare spazi territoriali, con orizzontalità, con trasparenza, con rispetto, con reciprocità, con solidarietà, con uguaglianza, senza gerarchie, senza caudillos né padroni.
Queste molteplici lotte, grandi e piccole, nazionali e quotidiane, furono gli spazi dove sperimentammo la vera Democrazia, quella che rese possibili le assemblee e i consigli, nelle piazze, nelle vie, nelle strade, questi spazi dove ci assegnavamo i nostri compiti. Questi compiti che abbiamo compiuto con assoluta dedizione, perché erano i “nostri compiti”, non furono imposti da nessuno dall’“alto”, nascevano dal basso.
Oggi dopo questo tempo, dobbiamo domandarci molte cose:
Questi governi hanno rispettato i compiti fondamentali che il popolo aveva indicato con assoluta chiarezza? Questo Blocco sociale unito e solido lottò con un orizzonte collettivo assolutamente chiaro, che era quello del recupero o re-appropriazione sociale di tutto il nostro patrimonio – ereditato dalle lotte e dallo sforzo dei nostri padri e nonni -, consistente negli idrocarburi, nei minerali, nell’acqua, nelle imprese di produzione e servizi, nella nostra biodiversità. Cioè il recupero del nostro territorio, inteso non solo come un spazio fisico, ma prima di tutto come uno spazio di convivenza sociale tra tutti e tutte, un territorio dove conviviamo in armonia e come parte della Natura e della Pachamama.
L’altro compito era costruire o ri-costruire una “nuova istituzionalità” basata sui nostri “usi e costumi”, sui progetti di società sognati dai nostri antenati, dai nostri amautas e saggi, sui valori che ci permettano costruire il nostro presente e il nostro futuro.
Le misure applicate da questo governo, nonostante siano state un importante sforzo per recuperare la capacità sovrana dei governi dei nostri popoli di fronte al capitalismo, nella pratica sono state semplicemente stabilire nuove regole del gioco che permettano di disporre di più risorse della rendita petrolifera o restituire allo Stato la capacità di gestire “nazionalmente” le imprese “nazionalizzate”, senza cambiare in assoluto l’istituzionalità statale che promuove la corruzione, lo sperpero dovuto alla mancanza totale di controllo e partecipazione sociale nella presa di decisioni in queste imprese.
La convocazione all’Assemblea Costituente e l’elezione dei Prefetti (governatori) furono gli errori capitali di questo governo nella possibilità di un processo di re-articolazione della destra oligarchica–fascista–latifondista–imprenditoriale-partitica.
La serie di consulte, referendum e altre forme di “democrazia” hanno portato a rendere invisibili e ignorare, davanti a questa casta di élite partitiche di uno e dell’altro lato, le gravi conseguenze sull’economia della gente, prodotto della crisi mondiale degli alimenti e della crisi finanziaria capitalista: sembrerebbe che oggi siano più importanti i numeri e le cifre che restituire la dignità e il benessere alla popolazione.
In sintesi non c’è stata “nazionalizzazione” o re-appropriazione sociale di quanto espropriato, né c’è stata questa Assemblea Costituente “senza intermediazione partitica per costruire un paese dal basso” come reclamiamo dall’anno 2000.
Altri problemi tra molti altri, sono i seguenti:
La cooptazione dei principali movimenti sociali e la subordinazione degli stessi alle politiche statali.
La cooptazione e permanenza di agenti del neoliberalismo nell’apparato statale.
La perdita della capacità di stabilire un’agenda autonoma di fronte al governo, come fu dal 2000 al 2005, per smontare questa struttura statale che rende fiacchi, ladri e bugiardi i governanti, e che furono gli obiettivi fondamentali delle nostre lotte, quelli che diedero vigore alle nostre mobilitazioni in quel periodo, alle quali molti di coloro che ora sono al governo, parteciparono.
Ma la cosa più preoccupante secondo la percezione della gente comune di alcuni settori sociali, particolarmente delle città, come gli operai e operaie, così come la classe media, è che questo governo ha perso l’umiltà, la reciprocità e la generosità, come valori fondamentali indigeni nella sua pratica quotidiana. Diversi di questi settori, che abbiamo lottato insieme ai contadini indigeni, siamo ignorati e ci sentiamo esclusi da questo processo.
Un processo nel quale non si considerano tutti e tutte ha generato tristezza, delusione, impotenza, però allo stesso tempo ci ha indicato, con assoluta chiarezza, che la forma di “fare politica” non è cambiata, che la relazione della catena comando-obbedienza non è stata modificata e che alcuni di coloro che parlano di “comandare obbedendo” oggi, che sono al potere, hanno paura di orizzontalizzare il potere e restituire il potere al suo legittimo proprietario, che è il popolo, perchè sanno che se fanno questo perderanno i privilegi che queste concede, non solo materiali, bensì prima di tutto la capacità di continuare a comandare.
Solo per il fatto di essere critici o propositivi dalla prospettiva di contribuire alla profondizzazione di questo processo, come ieri, dallo Stato ci premiano con gli aggettivi di radicali, finanziati dalla destra, come dicevano i governi di ieri quando la protesta sociale era qualificata come narcotrafficante e terrorista.
Però oggi come ieri, nonostante la dispersione degli sforzi e delle lotte, nonostante questi sentimenti e sofferenze, ci stiamo ritrovando un’altra volta nelle assemblee, cercando, non senza molte difficoltà, di ri-costruire i nostri spazi di incontro e deliberazione, per ri-costruire la nostra agenda dal basso, per recuperare la nostra voce, affinché più nessuno, un’altra volta, a nome nostro, dei movimenti sociali, ci dica ciò che dobbiamo dire o fare.
Per tale motivo in questi ultimi mesi di lotta contro la destra rinvigorita, razzista e vendicativa, molti e molte ci siamo re-incontrati nelle vie, nelle strade, nelle mobilitazioni. Molti e molte sono morti anche in queste lotte, un’altra volta, e nei silenzi quasi forzati, nelle impotenze, nelle dispute e disperazioni ci rendiamo conto di varie cose:
Che i nostri popoli non sono disposti a rinunciare alla lotta, né tollereranno di essere ingannati o traditi, e c’è una ferma decisione di recuperare la propria autonomia per continuare a lottare contro le multinazionali, contro il potere del capitale che tuttora permane nella nostra patria, contro il razzismo, contro le politiche neoliberali di questo e altri governi, che continuano ignorandoci, che continuano dimenticandoci e che utilizzano discorsi rivoluzionari quando non lo sono, perchè la rivoluzione è trasformazione, non è riformismo.
Molta gente in modo generoso e semplice ha dato la sua Vita per la Vita. Abbiamo dato molti morti.
Questo pensiero e questo agire è il filo trasversale di queste nostre ribellioni, che non solo non si riducono, come molti credono, alla disputa per la gestione dell’apparato statale, dei bianchi per gli indios, o per la gestione di un’impresa o di un bene comune come gli idrocarburi, o a una lotta per esercitare sovranità e/o “nazionalizzare” per “svilupparci”. No, non è solo questo. Le lotte sono per la VITA, contro la morte, perchè non ci interessa essere come gli altri paesi “sviluppati”.
La nostra lotta non è per raggiungere gli alti indici di consumo che, a spese nostre, hanno coloro che vivono nei paesi molto Nord-Nord; le nostre lotte sono perchè l’umanità sopravviva, perchè i nostri figli e le nostre figlie, i nostri nipoti e le nostre nipoti non solo siano il prolungamento dei nostri corpi, ma prima di tutto siano il prolungamento dei nostri sogni e delle nostre speranze....e in questi spazi, assumere la decisione inamovibile di non vivere come schiavi è ciò che ci spinge, ci impegna, nella quotidianità delle nostre vite.
Nessuno potrà sconfiggerci, perchè abbiamo vissuto la possibilità di cambiare le nostre vite, con le azioni e la volontà, collettive e degne, dei nostri popoli, della nostra gente.
Oggi, in questi tempi, forse ormai non di tanta ribellione, bensì più che altro di speranza, gli attori dall’alto sono quasi sempre gli stessi e pretendono di chiuderci il cammino.
Allo stesso tempo, non possiamo smettere di continuare ad ascoltare la nostra gente, le loro sofferenze quotidiane, la lotta per la sopravvivenza, la loro grande capacità di auto-organizzazione e di indignazione quando si tratta di difendere i propri diritti. Abbiamo preso coscienza della obbligatorietà di rimanere con la base, lavorare insieme ad essa.
Se non ci organizziamo, se non ci mobilitiamo, non esistiamo.
Per la nostra indipendenza, autogoverno e autonomia come movimenti sociali.
Senza caudillos né padroni, per dire ai potenti e ai governanti che noi SI esistiamo, per questo continuiamo vivi. E mentre continuiamo vivi non possiamo smettere di lottare per noi stessi, per noi stesse, per l’umanità, per i nostri sogni.
Le nostre lotte devono essere allegre, trasparenti e in movimento, come l’acqua, come la vita.
San Cristóbal, 3 gennaio 2009 e 15° anno dell’insurrezione zapatista
*Oscar Olivera è e operaio e sindacalista metalmeccanico, e portavoce della Coordinadora de Defensa del Agua y la Vida
Traduzione di Cristina Coletto
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