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Quando le dighe idroelettriche di Jirau e San Antonio staranno operando ai massimi regimi, le acque brasiliane del rio Madera produrranno 6500 Mw di energia. Più di quattro volte la potenza installata in tutta la Bolivia che, per il gigante sudamericano, rapresenteranno più o meno un aumento del 6,5% della sua produzione energetica. Perché? A quale prezzo? Due progetti industriali nel mezzo della foresta amazzonica dal costo di quasi 15 mila milioni di dollari devono avere un obiettivo importante, come ad esempio la diga Itaipù, che provvede al fabisogno energético del sud brasiliano… Però qual è lo scopo reale dei due progetti? Solo tre anni fa, quando gli studi e i documenti ambientali necessari erano pronti, il governo Lula ha lanciato sui media una campagna pubblicitaria sul progetto di generare energia elettrica nell’amazzonia. Così, in un semplice spot televisvo di nove minuti e mezzo, un uomo assai piacevole in maniche di camicia, parlava di tutto quello che bisogna sapere riguardo alle due dighe nel rio Madera.
Prima di tutto: la produzione di energia pulita e rinnovabile è una attività che il Brasile non ha sviluppato come avrebbe dovuto… questo contando che, racconta l’uomo, la quinta parte dell’acqua dolce mondiale si trova nall’interno del territorio brasiliano. Tuttavia il Brasile, essendo un’economía emergente, deve crescere e svilupparsi. E lo sviluppo è la via per creare equità sociale, e per questo ci vuole energia. Senza discutere a fondo il concetto di “sviluppo” del governo Lula, vale la pena sottolineare la forma statica e parziale di presentare i dati: almeno il 70% di questa “quinta parte di acqua dolce mondiale” arriva in (o esce dal) Brasile scorrendo sui grandi fiumi che nascono nelle Ande.
Il dato non è minore se riconosciamo che il rio Madera, affluente del rio Amazonas, si forma dall’unione di altri fiumi, soprattutto dal Madre de Dios e il Beni, che sorgono a loro volta nel territorio della Bolivia. Quindi, diciamo pure che questo bacino brasiliano che darà luce all’ industria, il commercio, le scuole, la strade e le case, è (per lo meno) un fenomeno bi-nazionale. Inoltre parte del rio Madera è frontiera nazionale tra i due paesi. Per quanto il signore dello spot televisivo insista, come lo fa il suo governo attravero l’ambasciata di La Paz, che si tratta di progetti all’interno del territorio brasiliano, la costruzione di Jirau e San Antonio provocherà una catena di disastri imprescindibili (alcuni incontrollabili) che colpiranno il nord boliviano, forse in maniera irreversibile.
E attenzione, non lo dicono gli esperti boliviani o qualcuna delle varie organizzazioni internazionali... lo dice un esteso rapporto del Ministero dell’ambiente del Brasile. Analizzando lo studio di impatto ambientale (SIA) realizzato dall’Istituto Brasiliano dell’Ambiente (IBA), si evince che il lavoro di indagine svolto sul campo non è stato esaustivo né rigoroso e tantomeno chiaro. Un buon esempio sarebbe il surubì, pesce migrante del rio Madera, che è solito risalire la corrente per deporre le uova arrivando all’interno del terriorio bolivano.
La diga contiene appena un canale di passaggio pensato per i pesci che seguono la corrente del fiume… e quindi i surubì che non potranno migrare comprometteranno la vita di centinaia di famiglie che in Bolivia, fuori dal territorio brasiliano, sopravvivono grazie alla pesca. E quindi malgrado che il signore dello spot commerciale del governo Lula rassicuri che è stato fatto tutto nel rispetto della vita e dei diritti collettivi, la verità appare un’altra. La principale obiezione del rapporto summenzionato, condiviso anche dall’ex ministra Marina Silva, è fondamentale per comprendere il rischio che corre la regione e, soprattutto, il nord boliviano: nel realizzare tutti gli studi sul bacino del Madera, l’IBA e le altre istituzioni coinvolte hanno “dimenticato” di includere il ramo bi-nazionale, frutto dell’unione dei fiumi Mamoré e Beni ad esempio, in tutte le previsioni d’impatto ambientale, dalle innondazioni, alla migrazione dei pesci, ai danni alle speci native, fino alle sedimentazioni provocate dalle correnti in questa zona… in altre parole, nel fermare le correnti in alcune parti del proprio territorio, il Brasile non si è preoccupato di calcore gli effetti che questo causerà in Bolivia.
Comunque la costruzione delle dighe sta per iniziare, lavori che già sono stati appaltati a consorzi internazionali (come quello della Suez). Ma da quì ritorniamo alla domanda iniziale, perchè le dighe e l’ irresponsabilità evidente del Brasile non spiegano fino in fondo per quale scopo si vuole installare una tale capacità di generare elettricità per due Stati come quelli di Acre e Rondonia, attraverso i quali passa il rio Madera. Perchè il signore dello spot dice appena che l’eccedente elettrico andrà a supportare il Sistema integrato Nazionale del Brasile, e cioé al Sud industrializzato di São Paulo e Río de Janeiro. Qualcosa di poca importanza dal momento che immense riserve di gas naturale sono state scoperte a Santos, rendendo quindi superflua l’elettricità amazzonica. Ugualmente resta ancora senza risposta la domanda principale: Jirau e San Antonio produrranno il 400% in più dell’energia prodotta da tutta la Bolivia per un gruppo di 2.100.000 persone che equivale alla quinta parte della popolazione Boliviana (distribuita in un’estenzione territoriale equivalente alla metà della Bolivia, piena di foreste, territori vergini e indigeni). E quindi perché tanta energia per ottenere la luce dal rio Madera? Anche i documenti dell’Iniziativa per l’Integrazione Regionale Sudamericana (IIRSA) non chiariscono molto di più, salvo che tra Acre e Rondonia si aprirà un corridoio per il Perù e la Bolivia attraverso il quale passeranno le merci verso il resto del mondo. E’ evidente che le dighe sono vitali per il progetto generale di integrazione economica.
E’ impossibile determinare oggi quello che succederà domani. Anche se sappiamo che l’IIRSA è appoggiato e finanziato da grandi multinazionali come Monsanto, Sigenta e Cargil. Sappiamo anche che l’etanolo sarà il combustibile principale del Brasile (e del mondo). Sulla stessa linea, è importante ricordare che in Cina l’economia manifatturiera dipende dalle infrastrutture energetiche (come la diga Gargantas)… e, come dice il brasiliano dello spot, “questa energia a basso costo andrà a stimolare lo sviluppo locale e la crescita dell’industria”. Speriamo che Lula e le multinazionali non stiano imboccando questa strada. Le dighe possono compromettere irreparabilmente un grande fiume, il nord boliviano, e altre regioni, l’industrializzazione può distruggere l’Amazzonia intera. Tocchiamo “madera”.
Luis Gomez è giornalista e scrittore di origine messicana, risiede da numerosi anni a La Paz, Bolivia