Documento senza titolo
I nuovi operativos dell’Esercito e  delle differenti polizie nel territorio occupato dalle Giunte di buon governo  in Chiapas mostrano la volontà di rompere con lo spazio di governo indigeno che  lo zapatismo è riuscito a costruire, in controtendenza alla politica dello  Stato che nel 2001 si profilò con la controriforma indigena.
  Nonostante il suo contenuto fosse in linea con ciò che fu firmato negli  accordi di San Andrés, da allora si profilò un atteggiamento di rottura con la  possibilità di raggiungere la firma della pace con l’EZLN. Dopo sette anni  risulta evidente che si sta attuando una strategia che cerca disarticolare  definitivamente il progetto zapatista. Si evince dalla questione agraria dove  si promuove un contrasto sulle terre occupate dal 1994, ritenute oggetto di  regolamentazione nel contesto del processo di dialogo e riconciliazione. Anche  dalla pressione dei cosiddetti programmi sociali, che cercano di dividere  attraverso il denarodotto; inoltre è  stato ricorrente l’atteggiamento di mostrare l’EZLN come complice del crimine  organizzato.
  Dalla balla foxista che avrebbe risolto il conflitto “in 15 minuti”, il  calderonismo è passato alla strategia attiva di smantellamento, senza annunci  spettacolari. Inizialmente ha ignorato il Coordinamento per il Dialogo,  affermando che si poteva “attendere” dalla Commissione di Sviluppo per i Popoli  Indigeni (CDI), dopodiché ha iniziato a trapelare che suddetto Coordinamento  sarebbe stato soppresso definitivamente, per poi rimangiarsi la parola. Se  fosse per loro formalizzerebbero l’abrogazione, che in pratica hanno già fatto,  della Legge per il Dialogo, la Conciliazione e la Pace Dignitosa in Chiapas.
  In questo contesto sono particolarmente gravi gli eventi del 4 giugno: l’intervento  delle Esercito Federale, della Procura generale della Repubblica e della  polizia statale e municipale alla Garrucha (caracul zapatista) con il pretesto  di cercare coltivazioni di marijuana. La reazione degli abitatnti delle  comunità di Hermenegildo, Galeana e San Alejandro che li hanno respinti con  machete, bastoni e fionde ha avuto dimensioni inimmaginabili. Questa volta gli  intrusi non hanno aperto il fuoco, si sono ritirati minacciando che sarebbero  ritornati. Chi può fermarli?
  Questa domanda dobbiamo giustamente porcela dalla società, poiché non ci  sono spazi di interlocuzione a nessun livello: il molto criticabile governatore  del Chiapas, che arrivò al potere con la sigla del PRD, è alleato ai poteri più  forti dell’intorno chiapaneco: la presenza di Jorge Constantino Kanter nel suo  governo parla da sola. Nonostante ciò, nega ogni responsabilità nei fatti con  la voce del segretario di governo Jorge Antonio Morales Messner, il quale, in  un linguaggio perverso, ha affermato che non possono sottrarsi a partecipare  con la polizia quando si sollecita il loro aiuto per combattere delitti  federali come il traffico di droga o armi, il ché non costituisce un atto di repressione  verso gli zapatisti. In proposito è scivolato sul “lavaggio di mani” quando ha  segnalato che l’interlocutore per il dialogo è il governo federale e non quello  chiapaneco. Quando gli conviene si piena la bocca di formalità, però sappiamo  che nella traiettoria del conflitto l’atteggiamento del governo statale è stata  fondamentale per attivare o disattivare le provocazioni. Dall’altra parte, la  normalissima Commissione di Concordia e Pacificazione nel Congresso della Unione  sembra una reliquia. Nel frattempo, il Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé  de las Casas sta documentando le reiterate violazioni dei diritti umani,  l’aumento della presenza militare e dimostra che il clima di tensione è in  aumento (bollettino dell’11/06/08).
  Dagli zapatisti è stato segnalato che molti di coloro che erano alleati si  sono allontanati, e ciò si può spiegare nel molto controverso 2006 e  nell’atteggiamento sull’allora candidato presidenziale Andrés Manuel López  Obrador. Tuttavia, non ci sono ragioni per incrociare le braccia davanti  all’attuale attacco contro le comunità zapatiste: tutti e tutte coloro che nel 1994  siamo usciti in strada chiedendo pace e che accompagniamo questo processo,  dobbiamo rispondere al calderonismo ed esigere che cessi il tartassamento delle  Giunte di buon governo.
  Sappiamo che l’agenda è molto carica e che tutti i fronti sono importanti,  però abbiamo bisogno di riarticolarci, è tempo di reagire per impedire che si  consolidi la strategia di smantellamento delle comunità zapatiste in Chiapas.  Non scordiamoci che sono disposte a difendersi, anche a costo della loro vita,  e che l’EZLN ha ripetuto, come alla fine dell’anno scorso, che non lascerà sole  le comunità e che le difenderà con tutto ciò che sa e che può.
  In una occasione Luis Villoso mi ha chiesto circa la nostra partecipazione  in appoggio ai popoli indigeni del Chiapas: “perché siamo in questo processo?”,  e mi rispose solamente: “perché non possiamo essere complici”. Non lo siamo  dunque.
 
Pubblicato su "La Jornada" del 17/06/08 
Traduzione di Andrea Lorini  -  Foto di Francesca Minerva