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Si ha l’ impressione che in America latina si stia chiudendo un ciclo - quello dei cambiamenti per una maggiore giustizia e attenzione alle richieste dei movimenti sociali - e se ne stia aprendo un’ altro, quello della ripresa di iniziativa della reazione conservatrice interna ai vari paesi e del ritorno consistente dell’ ingerenza statunitense almeno nei paesi più critici. Dalla Bolivia all’ Argentina le acque interne sono molto mosse e l’ avvenire più incerto.
Reazioni interne (con) ingerenze esterne
Espressione della reazione interna sono ad es. le iniziative separatiste nell’ oriente boliviano o i gravi conflitti sociali in corso in Argentina fra governo e agrari, mentre l’ ingerenza esterna, pur continuando anche attraverso le vie più di questi ultimi anni, sta accentuando nuovamente l’ aspetto militare di cui è espressione somma la ricostituzione, dopo 50 anni, della IV flotta, quella destinata appunto a controllare i mari del sud del a partire da quelli del Caribe, cui si aggiungono consistenti segnali di preparativi per nuove base militari yankees in Colombia e in Perù che si aggiungerebbero alle altre già presenti in vari punti strategici del subcontinente. In particolare alcuni fatti sottolineano l’ aggravarsi della situazione in varie aree, come ad es. la spericolata politica interna e internazionale del presidente colombiano Uribe, forte dell’ appoggio di Washington. L’ intervento militare colombiano in Ecuador conclusosi con l’ uccisione del numero due delle Farc, Raul Reyes, mirava appunto a creare un nuovo focolaio di destabilizzazione in questa area cruciale del Sudamerica. Scongiurata almeno momentaneamente l’ internazionalizzazione di un conflitto fra Colombia, Ecuador e Venezuela, grazie a una reazione abbastanza unitaria dei paesi latinoamericani, il problema si ripresenta sotto altre vesti, in particolare la continua infiltrazione di paramilitari colombiani in Venezuela e la continua schermaglia fra i presidenti Uribe e Correa.
Alcuni temi caldi di prossima riflessione
Esamineremo la situazione colombiana nel prossimo mininotiziario, e subito dopo la preoccupante situazione politica in Argentina, poi il permanere del conflitto coi Mapuche in Cile, le gravi tensioni nell’ Amazzonia brasiliana, lo stato delle trattative per accordi commerciali dell’ Unione europea coi paesi del Can e del Mercosur nonché dei Caraibi, intervallando questi prossimi notiziari con un bilancio del Vertice euro-latinoamericano e del contemporaneo Vertice dei popoli di Lima dello scorso maggio, della imminente VII Cumbre sociale mesoamericana, del Foro sociale americano in Guatemala ad ottobre e del Foro sociale mondiale di Belem dell’ inizio del 2008. Tutti eventi importanti per il prossimo futuro del continente.
Questo numero è invece dedicato a una riflessioni sui tre processi costituenti recenti (Venezuela e Bolivia) o in corso (Ecuador) e sulle situazioni, diverse dalle attese, che si sono create. Integriamo il nostro commento con le parole di un ponderato analista, Eduardo Gudynas[1], che ci sembra aver colto pacatamente ma decisamente i limiti di questi processi in un suo recentissimo articolo (sono suoi i pezzi
riportati in riquadro).
I processi costituenti in Venezuela, Bolivia e Ecuador
I tre paesi dove le forze "progressiste" avevano ottenuto i maggiori successi – Venezuela, Bolivia e Ecuador – vivono un momento difficile, legato in tutti e tre in qualche modo allo stesso processo che avrebbe dovuto stabilizzare i nuovi equilibri conseguiti, e cioè la promulgazione di nuove Costituzioni.
In Bolivia la Costituzione approvata nel dicembre 2007 in una situazione di grave conflitto sociale, e certamente dopo un processo tormentato e non privo di errori da parte del Mas, ha portato alla iniziativa di tentativo separatista delle province più ricche della cosiddetta (Sante Cruz, Beni, Pando, Tarija) e il paese appare oggi spaccato e in preda a gravi tensioni sociali. In Venezuela la bocciatura referendaria della Costituzione che avrebbe dovuto sostituire quella del 1999 anche qui dopo un processo affrettato e non accortamente condotto, ha indebolito il Presidente Chavez rendendo meno brillante e incisiva la sua azione rispetto al passato, anche se non ha bloccato ma certamente rallentato il processo "bolivariano"[2]. In Ecuador, dove il processo costituente è in corso, dopo un avvio ricco di speranze si stanno ora addensando nubi preoccupanti.
Il processo costituente boliviano
Il processo costituente boliviano conteneva due peccati originali:
- l’accettazione da parte del Mas del quorum del 75% per la approvazione dei singoli articoli nella convinzione che nella elezione per la composizione della della Costituente esso avrebbe raggiunto tale quoziente, ciò che era ottimistico pensare e che infatti non è stato
- l’avere, nel processo elettorale della Costituente, rimesso in gioco i partiti emarginando i movimenti che invece erano stati gli attori della vittoria elettorale che aveva portato il Mas al potere e quindi sottoponendo il funzionamento ai vecchi meccanismi contrattuali.
Era inevitabile quindi che, specie su articoli critici come quello sull’ estensione delle proprietà terriere incolte per essere definite latifondo e quindi espropriabili se improduttive, tale maggioranza non si sarebbe raggiunta. Il cambio in corso d’opera dalla maggioranza qualificata a quella semplice per la approvazione dei singoli articoli non poteva far altro che generare scontri e ritardi accompagnate da accuse di illegittimità. L’ approvazione finale del testo complessivo da sottoporre a referendum è avvenuta a dicembre 2007 in condizioni drammatiche fra scontri di piazza e deputati barricati in un collegio militare protetti dall’ esercito per il voto finale. Ma ci sono stati, oltre a errori di metodo, anche errori di contenuto. Nel corso di una ampia conferenza tenuta a Buenos Aires e ripresa da Argenpress, Mauricio Ochoa Urioste, avvocato e presidente della Asociación Boliviana de Juristas (ABJ), ha rilevato una serie di incongruenze. Un esempio fra i molti, la vaghezza del termine "indigeno" di cui si è abusato:
Centoquindici volte viene citata la parola "indigeno" senza precisare i territori, i governi né le popolazioni indigene; distingue la giurisdizione ordinaria da quella indigena senza stabilire l’ ambito materiale o territoriale della seconda; designa i magistrati dei tribunali supremi di giustizia mediante voto popolare; privilegia gruppi etnici non definiti nello sfruttamento delle risorse naturali, l’ assemblea legislativa e l’ amministrazione di giustizia; introduce trentasei idiomi ufficiali, - fra i quali il “toronoma”, nome omonimo di un “popolo originario” isolato che abiterebbe l’ Amazzonia - ; contiene ben 418 articoli; non precisa neppure sommariamente i contenuti delle competenze dei governi autonomici, etc...
Fra le cause Ochoa Urioste individua una carenza di cultura giuridica propria nel paese, dovuta al fatto che:
Nel secolo XIX certe classi native si formarono culturalmente nella venerazione delle istituzioni europee, delle loro mode, dei loro libri, delle loro idee e Costituzioni……Alcuni esempi della anticaglia giuridica boliviana sono il Codice Civile e il Codice Penale. Ispirato dal Codice Civile Italiano de 1942, il princièpale libro di consultazione della materia è il “Código Civil, concordado, comentado y anotado” di Carlos Morales Guillén che stese con poca fortuna la dottrina scientifica dei fratelli francesi Henry e Leon Mazeaud e di Francesco Messineo, fra gli altri, in una parodia giuridica che lungi dal riflettere le fonti formali del diritto alimentano soltanto l’ immaginazione di un mondo irreale di citazioni italiane, francesi, tedesche e latine, incomprensibili dagli stessi giudici e contendenti, i quali con frequenza li utilizzano per adornare i loro scritti con "ergo"……
E ancora, ma non è il solo (ad es. ripetutamente vi accenna nei suoi testi anche l’ ex ministro dell’ industria Soliz Rada), evidenzia il ruolo che nella stesura di alcuni contenuti hanno giocato influenti Ong occidentali. Ricordando che l’ attuale Costituzione non sarebbe stata possibile senza l’ “abbondante” e “misericordioso” finanziamento di Ong come Oxfam (Gran Bretagna), Hivos (Olanda), Danda e Ibis (Danimarca) e altre. E nota:
La presentazione di Ibis (Danimarca) dice: "L’ azione di Ibis nella regione è centrata sull’ appoggio alle organizzazioni dei popoli indigeni di Bolivia, Ecuador e Perú nei loro sforzi per il riconoscimento culturale e la difesa dei loro diritti collettivi come nazioni e popoli formanti parte di stati nazionali pluriculturali. La nuova Costituzione enfatizza con consistente peculiarità i diritti collettivi delle nazioni e dei popoli indigeni originari, fra cui si incontrano il diritto alla libera determinazione e territorialità (art. 30 n.4) e alla consultazione preventiva rispetto alle risorse naturali non rinnovabili del territorio da loro abitato (art.30 n. 15). Chi sono i veri autori della nuova Costituzione boliviana? Quali sono i propositi reali di queste e altre Ong e organismi finanziari internazionali? Nel processo costituente vi è stata partecipazione del magnate e multimilionario azionista della miniera San Critóbal, Gorge Soros? D’ altro lato è quasi indubitabile la presenza dell’ Ambasciatore venuto dai Balcani e dell’ ex presidente dell’ Ottobre Negro nella politica nazionale e nella congiuntura attuale. Mark Falcoff, consigliere di George W. Bush, vaticinò la divisione dello Stato boliviano già nel 2004. Tre anni dopo non è strano che gli statuti delle Autonomie Dipartimentali sostenuti dall’ estrema destra a santa Cruz della Sierra siano finanziati precisamente da Usaid – casualità del destino? -. Ma ciò che è deplorevole è il fatto che l’ attuale governo, soprattutto per il mal consiglio vicepresidenziale e di altri leaders, non sia capace di affrontare l’ assalto disgregatore e esistano personaggi arrivisti incaricati di mettere altra legna sul fuoco con discorsi etnocentrici ugualmente divisionisti. Il ministro Juan Ramón Quintana ha diffuso con ricchezza di particolari l’ attività di usaid in Bolivia. Ma l' imperialismo, il colonialismo e i centri del potere mondiale hanno più di una sola testa e di un solo tentacolo.
Nel caso della Bolivia la coalizione al governo, il Movimiento al Socialismo (Mas) di Evo Morales, pensò che una nuova costituzione avrebbe permesso di rifondare il paese. Ma il processo risultò rallentato, contestato e bombardato dall’ opposizione. Uno dei problemi fu che molti attori del Mas restarono irretiti dal ripetere le vecchie pratiche politiche per optare finalmente per svuotare e approvarlo comunque fosse. Si giunse così a un testo che mostra sia problemi di redazione che contenuti contraddittori. La qualità fu sacrificata alle scadenza della politica. Le conseguenze di questa decisione furono che il testo costituzionale, invece di riannodare il dialogo politico nazionale servendo come riferimento quale testo base di concetti e valori compartiti da una maggioranza ampia, si è concluso alimentando i fuochi della crisi politica e le resistenze delle diverse minoranze. |
Il processo costituente in Ecuador
In Ecuador, dove il presidente Correa sta seguendo un percorso zigzagante - confermando alcune perplessità da noi già espresse - il processo di riforma costituzionale, in via di conclusione, sembrava procedere in maniera più esemplare grazie alla forte maggioranza in esso di componenti del partito di governo, l’ Alianza Pais, e la ferma guida di Alberto Acosta, l’ ex ministro dell’ economia dello stesso governo Correa e rappresentante più votato nella elezione della Costituente. Le sue dimissioni, giunte non del tutto inattese a fine giugno, causate dalla pressione presidenziale per non prolungare oltre il limite stabilito i lavori dell’ Assemblea e quindi con una compressione del dibattito sugli articoli ancora mancanti, getta preoccupanti ombre sulla prossima evoluzione della politica del paese. Gudynas osserva infatti che:
La rinunzia di Acosta mette in evidenza altre divergenze sopra le strategie dello sviluppo che dovrebbero essere seguite in Ecuador. Queste si fanno ogni giorno più evidenti per il lento ma continuo spostamento di Correa verso posizioni tradizionali, come la politica petroliera convenzionale o l’ intensificazione degli investimenti minerari, entrambi ancorati ad una integrazione internazionale commercial dipendente. In altre parole strategie che nella loro espressione concreta si fanno sempre più simili alle politiche estrattive applicate in Perù e Colombia. Le sue risposte a coloro che dalla società civile allertano su questi problemi subito degenerano nella critica e nella squalifica, come appunto accade in Colombia e Perù.
Non possiamo non sottolineare come anche il quotato commentatore politico Kintto Lukas, già autore di un enfatico articolo sull’ accoppiata complementare Correa-Acosta, abbia ora preso le distanze[3] accusando Correa e la sua staff di mancanza di un progetto politico chiaro, di stare confondendo un processo costituente con la ricerca di un successo personale, di contraddittorietà nel difficile rapporto con la Colombia e nelle relazioni con le Forze armate, per il cattivo rapporto con il movimento indigeno, della recente svolta neoliberista in agricoltura e nell’ espansione dell’ attività mineraria e altro ancora. E’ pur vero che la fretta di Correa è legata al desiderio di sottoporre al più presto la Costituzione al giudizio popolare legittimando così ancor più la propria posizione, che ha anche aspetti positivi e scomodi (non rinnovo della concessione della base navale di Manta agli Usa, sostegno del Banco del sur……) ma gli esempi di Venezuela e Bolivia avrebbero consigliato un altro processo.
Sia in Bolivia come in Venezuela questo processo è stato contraddittorio e teso, mentre nel caso ecuadoriano, il più recente, appariva come il più ordinato e alimentava le speranze che in questo caso si potesse ottenere un testo di buona qualità e rivestito di un’ ampia legittimazione sociale. Sembra opportuno esaminare questi casi per analizzare le opzioni in Ecuador. Cominciamo dalla proposta di riforma costituzionale venezuelana, nata non da una richiesta della cittadinanza ma dall’ interesse presidenziale per poter realizzare cambiamenti più o meno specifici. Questo ha fatto sì che il processo venezuelano anziché cercare una costituzione comune a tutti sia stato interpretato come una agenda di Hugo Chavez. Questo non solo impedì di realizzare un consenso sui principi di base ma anzi accentuò le divergenze fra e . Molte persone ne colsero l’ occasione per esprimere il disaccordo con il percorso del governo Chavez senza approfondire la qualità della proposta costituzionale. Il risultato è ben noto: la riforma costituzionale fu respinta dalla cittadinanza.
Questa è una prima lezione da tenere presente nel caso ecuadoriano. Un testo costituzionale non è una piattaforma partitica né può riflettere gli interessi presidenziali, ma deve esprimere accordi condivisi dai cittadini. Questo è uno dei rischi che si corrono nella sede della Costituente, a Ciudad Alfaro, poiché il progetto potrebbe concludersi con l’ essere una espressione di una agenda governativa e la sua votazione finirebbe per essere un referendum sulla figura presidenziale. […]
E’ certo che vi sono vari analisti di ottima reputazione che difendono questo cambio nella Costituente poiché pensano che la affronta costi politici crescenti e che è necessario passare quanto prima alla campagna del alla nuova Costituzione […]. E’ possibile fare ricorso alla maggioranza di cui la coalizione di governo dispone per forzare l’ approvazione dei prossimi articoli. L’ uso delle come riflesso dell’ opinione presidenziale è stato utilizzato ad esempio nel Venezuela di Chávez o nell’ Argentina di Néstor Kirchner. In entrambi i casi sono state approvate le norme, ma si è finito per deteriorare il ruolo del potere legislativo e di proseguire i vizi della vecchia politica caudillista sotto altre sembianze. I rischi nel proseguire questo cammino per approvare un testo costituzionale sono enormi. Non solo per i problemi già indicati ma anche perché una nuova Costituzione non è un semplice decreto né una legge qualsiasi. […] Acosta sottolinea questo quando nella sua lettera di dimissioni dice che il processo costituente deve "cercare e ottenere un vero patto sociale in cui le grandi maggioranze ma anche le piccole minoranze si riconoscano e si riconcilino […] Abbiamo la necessità di un cambio del modo di fare politica, riscattandola e ripoliticizzando la società: tenendo presente in ogni momento che la democrazia è per tutti e per tutte".
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Una osservazione finale
Nel momento in cui la reazione interna e esterna sembrano voler invertire il ciclo sfavorevole di questi ultimi anni, la disunione e gli errori delle forze è particolarmente preoccupante e i movimenti sociali e indigeni dovranno certamente rivedere e rafforzare le loro strategie. Un processo da seguire con attenzione.
America Latina dal basso è un esperimento di informazione rapida, ragionata, non esaustiva, sulla realtà dei movimenti e delle organizzazioni sociali latinoamericane. Consigli, critiche, segnalazioni sono graditi.
[1] Eduardo Gudynas, La renuncia de Alberto Acosta Vieja política y nueva política en la Constituyente ecuatoriana - http://alainet.org/active/25008. Gudynas è un reputato analista dell’ informazione del CLAES (Centro Latino Americano de Ecología Social) e del D3E (Desarrollo, Economía, Ecología, Equidad – América Latina).
[2] Al referendum venezuelano abbiamo dedicato l’ intero n. 38 del Mininotiziario (27.12.07)
[3] Resumen Latinoamericano n. 1067 del 25.6.2008