Il testo presente ha il proposito di analizzare i contenuti e gli orientamenti della tematica ambientale e delle risorse naturali, del progetto di Costituzione Politica dello Stato (CPE), approvata dall’Assemblea Costituente nel dicembre 2007. In questa opera continuo il lavoro di Cecilia Chacon [2007] con la differenza che utilizzerò una prospettiva di ecologia politica rispetto a quella giuridico-istituzionale di Chacon.
Si argomenta che il progetto costituzionale è orientato da una forte focalizzazione sullo sviluppo sostenibile, discorso oggi dominante nella gestione delle risorse naturali (RRNN) e dell’ambiente. Si identificano gli aspetti critici e i pericoli per il paese. Analogamente si definiscono il ruolo crescente dello Stato, la partecipazione e il controllo sociale come dispositivi funzionali allo sviluppo sostenibile; dispositivi che sono orientati a promuovere una politica estrattiva delle RRNN, settore strategico dell’economia, congiuntamente ad una partecipazione privata che non si assume i costi ambientali delle sue attività.
Tenendo conto dell’identità corrotta dello Stato, delle pratiche non democratiche delle organizzazioni sociali e delle esperienze precedenti, appaiono evidenti i rischi di espandere e legittimare tali pratiche alla totalità della società boliviana. Infine, l’introduzione di approcci e concetti provenienti dal linguaggio di esperti e tecnici, come quello di sviluppo sostenibile, evidenzia che il progetto di CPE (Costitucion Politica del Estado) è stato elaborato dai cosiddetti “intellettuali organici” vincolati all’Assemblea Costituente, prima ancora che dall’immaginario contadino/indigeno.
Il testo è suddiviso in tre parti; nella prima si analizza il funzionamento delle letture dominanti dello sviluppo sostenibile, legittimando politiche estrattive, consumiste di RRNN e dei servizi ad esse collegate, e si evidenzia la centralità che quest’approccio ha nel progetto di costituzione, con i rischi che ciò presuppone. Nella seconda parte si sottolinea l’identità corrotta dello Stato boliviano e si analizzano gli effetti che può avere una crescente presenza dello Stato nel testo costituzionale per la gestione delle risorse naturali (RRNN) e dell’ambiente. Infine si considera la problematica della partecipazione e del controllo sociale come pilastro per lo sviluppo sostenibile nel testo costituzionale, discusso all’interno del dibattito sulla cultura democratica nelle organizzazioni e nei movimenti sociali nel paese.
1. Lo sviluppo sostenibile: fondamento del progetto costituzionale
Il concetto di sviluppo sostenibile ha origine nella famosa definizione del rapporto Brundtland [1987]: “soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Questa frase sintetizza il cosiddetto approccio della sostenibilità, all’interno delle varie argomentazioni sull’ambiente [Dryzek, 1997], divenuto dominante dopo il vertice di Rio del 1992. Un aspetto fondamentale del concetto è lo sforzo per articolare crescita economica e conservazione dell’ambiente e delle RRNN, assumendo che sia possibile mantenere l’attuale stile di vita consumista, estrattivista, produttivista e diseguale e allo stesso tempo sfruttare razionalmente le RRNN e i loro servizi, oltre che gestire le “esternalità” generate. Questo argomento, promosso dal capitalismo globale, disconosce i limiti ecologici dell’economia: ci sono dei limiti stabiliti dalla Natura che non possono essere oltrepassati [Daly, 1997], se non col rischio di mettere a rischio la vita stessa.; pertanto, a differenza di ciò che crede lo sviluppo sostenibile, non è possibile una crescita infinita. Così facendo, questo approccio legittima l’attuale processo di mercificazione della Natura e dei suoi servizi (privatizzazione e/o articolazione alla disciplina del mercato), adattando un’immagine “verde” al suo funzionamento.
In paesi in via di sviluppo come la Bolivia, articolati al capitalismo globale come esportatori di RRNN strategiche, tramite il pensiero neoliberista si è introdotto un modello di sviluppo con l’etichetta “sostenibile” fondato su logiche estrattive, ignorando i diritti, tanto delle comunità locali, soprattutto indigene, quanto della natura stessa.
Questa introduzione si riferisce alla definizione dell’Art. 9, sui fini e funzioni essenziali dello Stato, della proposta di Costituzione Politica dello Stato, approvata nell’Assemblea Costituente e che sarà valutata dalla società boliviana nel prossimo referendum:
“Promuovere e garantire l’impiego responsabile e pianificato delle risorse naturali e la loro industrializzazione, attraverso lo sviluppo ed il rafforzamento della base produttiva nelle sue differenti dimensioni e livelli, così come la conservazione dell’ambiente, per il benessere delle generazioni future”.
Ossia, la proposta di CPE si fonda sul modello dello sviluppo sostenibile, e il suo raggiungimento appare lungo tutta la proposta del testo costituzionale: dal dovere delle Forze Armate (FFAA) di promuovere “lo sviluppo integrale e sostenibile” dentro le frontiere (Art. 266), o l’Art. 346 riguardo al considerare il patrimonio naturale come parte dello sviluppo sostenibile, fino all’Art. 391 riferito alla priorità che si da allo “sviluppo integrale sostenibile dell’Amazzonia boliviana”, o gli Art. 404-408 sullo “sviluppo rurale integrale sostenibile”.
La scommessa sullo sviluppo sostenibile riproduce un altro aspetto critico del concetto: la sua evidente ambiguità [Guimares, 1994]. Liberisti e promotori di una maggiore presenza dello Stato nella gestione ambientale e delle RRNN, corporazioni e ambientalisti, leggono e interpretano il raggiungimento dello sviluppo sostenibile ognuno alla sua maniera,. Però questa ambiguità è utile solo per legittimare le attività economiche estrattive, inquinanti e portatrici di una distribuzione ecologica diseguale.
Nella definizione menzionata sopra, sorge la domanda di quale sia il significato di “utilizzo responsabile….delle risorse naturali”? L’Art. 109, circa i doveri dei boliviani, parla di contribuire all’uso sostenibile delle RRNN, così come della protezione e difesa dell’ambiente adeguato per lo sviluppo degli esseri viventi: come si misura l’ utilizzo responsabile? Che significa uso sostenibile o ambiente adeguato? Chi definisce ciò e come i boliviani intendono questi termini del testo costituzionale? Non si dice, però si assume che la strada sia quella della industrializzazione (Art.9), con tutti gli effetti perversi che questa presuppone.
Nelle deliberazioni della CPE, i costituenti, lasciando da parte il popolo boliviano, hanno discusso, senza mettersi d’accordo, sulla definizione, la portata e i limiti della sostenibilità e di altri termini ambigui come ambiente adeguato , uso sostenibile, utilizzo responsabile. Non essendo stati definiti e valutati democraticamente si è imposta l’interpretazione dominante, cioè quella che articola in maniera ottimistica crescita e conservazione, come più sopra abbiamo visto. L’importanza di una valutazione democratica delle RRNN e dell’ambiente è fondamentale se prendiamo in considerazione che entrambi sono incommensurabili, come è stato dimostrato già dall’economia ecologica [Martinez Alier, 2001]; ossia, “incommensurabilità significa che non c’è un’unità di misura comune, anche se questo non significa che non possiamo comparare decisioni alternative su una base razionale, su differenti scale di valori, come si fa nel caso della valutazione multicriterio” [Martínez Alier, 1998:115]. Ciò significa che in spazi di deliberazione pubblica, i boliviani dovevano cercare, direbbe Martinez Alier, “…di raggiungere una decisione razionale attraverso una discussione verbale, dando pesi impliciti a tali criteri”[Idem, 116]. Ossia una specie di discorso habermasiano di razionalità comunicativa. Di fatto però l’assemblea costituente non ha seguito neanche quest’ideale democratico-liberale, dove i boliviani si sarebbero messi d’accordo, recuperando la diversità dei criteri esistenti rispetto al valore dell’ambiente e delle RRNN, e ai limiti ecologici dello sviluppo. Qui, probabilmente, gli indigeni avrebbero potuto canalizzare i loro criteri e valutazioni sulla natura, però ciò non è successo: semplicemente, nel nome dello sviluppo sostenibile, si è imposto un approccio crematistico dell’economia in relazione alla natura e ai suoi servizi.
Passo adesso ad analizzare quei principi e quegli orientamenti della gestione ambientale che rappresentano il volto conservazionista dello sviluppo sostenibile. I più importanti sono il controllo e la partecipazione sociale da un lato, e un maggior ruolo dello Stato dall’altro, tematiche che approfondirò successivamente. Ne esistono comunque altri, come l’applicazione di un approccio liberale dei diritti ambientali, secondo il quale “qualsiasi persona, a titolo individuale o in rappresentanza di una collettività, ha la facoltà di esercitare azioni legali in difesa dell’ambiente…”(Art.34). Nello specifico, secondo la proposta di CPE, le politiche di gestione ambientale si baseranno su “l’applicazione dei sistemi di valutazione d’impatto ambientale, e sul controllo della qualità ambientale”, oltre ad applicare il principio di “chi inquina paga” (Art. 345). Tutto ciò è quello che hanno classicamente applicato i neoliberisti e keynesiani negli ultimi 40 anni, con il risultato che tutti conosciamo: la crisi ambientale globale. Circa l’applicazione di strumenti di gestione ambientale orientati ad applicare i limiti ecologici per le attività economiche come criterio fondamentale di sostenibilità (tra i quali menziono i principi cautelativi e d’incertezza, gli indicatori biofisici di sostenibilità, la valutazione multicriterio), niente.
2. Più Stato, però con partecipazione privata e sfruttamento delle RRNN
Come ho sostenuto in testi anteriori, storicamente in Bolivia la corruzione non ha operato come una “esternalità” (per usare il gergo economista), o come effetto non desiderato del funzionamento statale, bensì è parte della sua identità e attraversa tutto il corpo sociale [Crespo, 2007]; lo Stato boliviano si riproduce grazie alla corruzione e costituisce un ostacolo fondamentale a qualsiasi tipo di trasformazione o modernizzazione statale.
Questo aspetto acquisisce importanza se si pensa al fatto che la proposta approvata dall’Assemblea Costituente prevede una forte presenza dello Stato nella gestione delle RRNN e dell’ambiente: “è dovere dello Stato e della popolazione conservare, proteggere e sfruttare in maniera sostenibile le risorse naturali e la biodiversità, così come mantenere l’equilibrio dell’ambiente” (Art. 342). A differenza del periodo neoliberista, quando la cornice legale ed istituzionale ambientale era pensata appositamente per facilitare la partecipazione privata nelle attività economiche, oggi assistiamo ad un nuovo protagonismo statale. Questo è uno Stato che regola, conserva, protegge, gestisce, pianifica, ma anche che utilizza il patrimonio naturale.
Ma che misure propone il progetto di testo costituzionale per affrontare la corruzione? Fondamentalmente maggiore partecipazione sociale, aspetto che tratterò tra poco, oltre che la trasparenza come valore che sostiene lo Stato (Art.8), termine non definito nei suoi limiti e obiettivi, e pertanto soggetto all’interpretazione dei poteri dominanti. Al riguardo Soto [2006] ha proposto di includere come ambiti di trasparenza, l’accesso all’informazione, ai rendiconti di bilancio e l’imprescrittibilità dei reati; io aggiungerei la rotazione delle cariche pubbliche, concetto completamente ignorato dal progetto di costituzione.
E qual è la politica del governo di Evo Morales rispetto alla presenza del settore privato, soprattutto transnazionale, nel settore delle RRNN, al di là della retorica anti-imperialista che è solita dei discorsi del presidente Morales e dei suoi collaboratori? Cito dei casi paradigmatici: nel settore minerario l’attuale governo ha concesso la licenza ambientale per lo sfruttamento a cielo aperto della miniera di San Cristóbal, proprietà dell’impresa Apex Silver Minino, nonostante l’opposizione delle comunità locali e delle organizzazioni ambientaliste, e in lista d’attesa ci sono altre concessioni di dimensioni simili; nel settore degli idrocarburi sono stati firmati i nuovi contratti con le imprese petrolifere, legittimando così una performance ambientalmente deplorevole; nel settore delle infrastrutture il governo attuale vede con simpatia l’ IIRSA, il megaprogetto infrastrutturale promosso dal CAN (Comunità Andina) e dal BID (Banca Interamericana di Sviluppo) che tra le tante opere prevede la costruzione dell’Autostrada Interoceanica, sostenuta dal Brasile, dall’impatto ambientale insospettabile; analogamente viene spalleggiato il “Gasdotto del Sud”, promosso dal presidente venezuelano Hugo Chavez e che è stato denunciato dalle organizzazioni ambientaliste di tutto il continente; il presidente Morales ha promesso la costruzione di dighe idroelettriche nell’Amazzonia come soluzione energetica per quella regione, ignorandone l’impatto ambientale e mantenendo allo stesso tempo una politica di servitù volontaria di fronte alla decisione brasiliana di costruzione di queste dighe nel suo territorio [Villegas, 2008]. In sostanza, legittimato con il discorso di sostenibilità dello sviluppo, l’attuale governo porta avanti l’estrazione intensiva di RRNN e l’industrializzazione, minimizzando i limiti ecologici sopra menzionati. Inoltre vede l’ideale d’impresa nella forma mista, come stabilisce l’Art. 307. Inc. IV (analogamente, per il settore dei servizi vedi l’Art. 20), dove si articolano pubblico e privato.
In quest’aspetto, la Bolivia sembra seguire il modello di sviluppo “chavista”: criticare l’Impero ma fare affari insieme [Uzcategui, 2007], con una presenza fondamentale di corporazioni di idrocarburi, minerarie, che stanno producendo impatti ambientali e nuove forme di “distribuzione ecologica diseguale”. La mia tesi è che la nuova CPE legittima l’orientamento del governo di Evo Morales: maggiore presenza dello Stato nella gestione delle RRNN, però mantenendo la presenza delle compagnie multinazionali nei settori strategici, nel caso boliviano idrocarburi, miniere, energia.
3. Partecipazione e controllo sociale
Il terzo aspetto critico fondamentale del progetto di Costituzione, che andrà al referendum, è l’inclusione della partecipazione e controllo sociale nello sviluppo sostenibile. Consolidando il processo iniziato con la Legge di Partecipazione Popolare, si stabilisce la partecipazione come uno dei valori che sostenta il funzionamento dello Stato (Art. 8 Inc II), un principio dell’ordinamento territoriale e del sistema di decentralizzazione e delle autonomie (Art. 271), si riconosce la partecipazione come un diritto (Art. 26), ulteriore a quello della consultazione (Art. 30, inc. 15) e si istituzionalizza la partecipazione cittadina, questa volta in forma generalizzata e in differenti scale, a tal punto che il titolo VI della II° parte viene dedicato a questo aspetto:
“I. Il popolo sovrano, per mezzo della società civile organizzata, parteciperà alla presa di decisioni delle politiche pubbliche.
II. La società civile organizzata eserciterà il controllo sociale alla gestione pubblica in tutti i livelli dello Stato, e nelle imprese e istituzioni pubbliche, miste e private, che amministrino risorse fiscali o che prestino servizi pubblici”. (Art. 242).
Così facendo, non solo si stabilisce la partecipazione sociale nella salute (Art. 40), educazione (Art. 83), educazione superiore nelle aree rurali (Art. 96), ma si definisce anche che la pianificazione economica e dello sviluppo avviene con partecipazione e consultazione cittadina (Art. 316).
E la gestione delle RRNN e dell’ambiente segue la stessa tendenza:
“La popolazione ha il diritto di partecipare alla gestione ambientale, ad essere consultata e informata circa le decisioni che potrebbero danneggiare l’ambiente”. (Art. 341)
“III. La gestione e l’amministrazione delle risorse naturali si realizzerà garantendo il controllo e la partecipazione sociale nella presa di decisioni” (Art. 351)
In particolar modo la partecipazione e il controllo sociale vengono indicati per il settore dell’acqua (Art. 374) e dell’energia (Art. 378).
Al riguardo esistono molte esperienze di partecipazione e controllo sociale delle organizzazioni sociali nella gestione statale, dal controllo operaio durante l’MNR[1], passando per la cogestione operaia di maggioranza nel settore minerario durante la UDP (Unidad Democratica Popular), fino ai direttori cittadini di SEMAPA[2]. L’elemento comune tra tutte queste è che i rappresentanti di queste organizzazioni vengono rapidamente cooptati dalla corruzione della istituzione pubblica, espressa nelle pratiche che vanno dall’accettazione di tangenti, passando per il clientelismo politico, fino alla strumentalizzazione per fini personali e di gruppo. Il secondo elemento comune è che questi rappresentanti, siano stati eletti o no attraverso meccanismi di democrazia diretta o rappresentativa, non rendono conto del proprio operato alle loro basi o elettori, e neppure socializzano l’informazione circa l’oggetto delle proprie attività, ossia non sono trasparenti. Il terzo elemento comune è che le organizzazioni sociali che sostentano, promuovono o attuano questa partecipazione e controllo sociale, agiscono generalmente dentro strutture organizzative autoritarie o “caudilliste”, in sostanza non democratiche; pertanto qualsiasi politica di istituzionalizzare la partecipazione sociale come parte della gestione pubblica e del funzionamento dello Stato riprodurrà, su scala allargata, gli effetti perversi delle esperienze di partecipazione e controllo sociale già menzionati. In definitiva, non si può costruire la società della libertà con mezzi autoritari [Gordon, 2005], e fino a che le organizzazioni e movimenti sociali, oggi cooptati dal governo [Crespo, 2007], non svilupperanno pratiche autonome e democratiche, la possibilità di iniziare un autentico processo di trasformazione sociale sarà impossibile.
Conclusioni
1. Nel presente testo ho evidenziato che la gestione delle risorse naturali e dell’ambiente, nella proposta di CPE approvata dall’Assemblea Costituente, articola tre approcci e/o categorie: sviluppo sostenibile, maggiore presenza dello Stato e partecipazione e controllo sociale. Tenendo conto della politica ambientale dell’attuale governo di Evo Morales, orientata allo sfruttamento intensivo delle risorse naturali per l’esportazione, in alleanza col settore privato, soprattutto multinazionale, sdrammatizzando i rischi e gli impatti ambientali e sociali (nel settore minerario, degli idrocarburi e generazione dell’energia), questi approcci e/o categorie all’interno della CPE andranno solo a legittimare la politica estrattiva e inquinante delle RRNN e approfondirà i processi di frammentazione, destrutturazione e differenziazione socioeconomica tra le popolazioni indigene.
2. Principi fondamentali come l’esistenza di limiti ecologici all’attività economica, informazioni come il debito ecologico, l’applicazione di principi cautelativi e d’incertezza, l’introduzione di indicatori di sostenibilità biofisici nella gestione ambientale e delle risorse naturali, che avrebbero orientato verso uno stile di sviluppo su scala umana, non sono stati considerati dai redattori del documento costituzionale come un criterio valido, ma hanno piuttosto riproposto paradigmi che sono stati messi in discussione da attivisti e accademici critici sulle letture neoliberiste dello sviluppo sostenibile.
3. Analogamente, tenendo conto dell’identità corrotta e scarsamente democratica dello Stato boliviano, fenomeno trasversale a tutto il corpo sociale, una maggiore presenza dello Stato nella gestione ambientale e delle risorse naturali, così come la partecipazione e controllo sociale, approfondiranno e amplieranno la corruzione e le pratiche non democratiche, questa volta legittimate dalle stesse organizzazioni sociali. Democratizzare il funzionamento della società e delle sue istituzioni pubbliche ancora una volta non è una priorità per il progetto costituzionale.
4. Conoscenza e potere vanno insieme diceva Foucault e l’esperienza dell’Assemblea Costituente ce lo ha dimostrato di nuovo. Silvia Rivera ricorda che il 6 agosto 2006, quanto si inaugurava a Sucre l’Assemblea Costituente, i contadini e indigeni del paese entrarono maestosamente nella piazza centrale con i loro balli e le loro musiche più belle, orgogliosi per la responsabilità di redigere autonomamente, attraverso i loro rappresentanti, il nuovo progetto del paese, questa volta concordante con l’immagine indigena della Bolivia, come mezzo per superare la storica esclusione a cui erano sottomessi; però, rapidamente, segnala Rivera, gli intellettuali vincolati all’AC, sia come assessori o costituenti, convinsero i contadini e indigeni della loro ignoranza e furono così loro che alla fine decisero l’agenda, i contenuti e il testo finale della proposta costituzionale. L’evidenza che il testo costituzionale sia stato elaborato dai cosiddetti “intellettuali organici” delle organizzazioni e dei movimenti sociali è segnata dall’introduzione del modello dello sviluppo sostenibile nel progetto di CPE; l’approccio dello sviluppo sostenibile è parte del linguaggio di esperti e tecnici, ampiamente utilizzato dalle ONGs, dalla cooperazione internazionale e dallo Stato, però del tutto estraneo al linguaggio e all’immaginario contadino/indigeno.
Cochabamba, marzo 2008
Carlos Crespo Flores
Sociologo presso il Centro Studi Universitario (CESU-UMSS) di Cochabamba
Traduzione e note di Andrea Lorini
Articulo original en Castellano
[1] Il Movimiento Nazionalista Revolucionario è il partito che nel 1952 guidò la rivoluzione in Bolivia. Divenne presto organo di controllo e repressione per numerosi regimi militari. Ricordiamo il suo incondizionato sostegno alle sanguinose dittature di Hugo Banzer (1971) e Garcia Meza (1980). Nel 1989 portò al governo Gonzalo Sanchez de Lozada, fuggito a Miami dopo aver ordinato il massacro che produsse più di 60 vittime durante la “Guerra del gas” nell’ottobre del 2003.
[2] Servicio Municipal de Agua Potable y Alcantarillado. É l’impresa municipalizzata di Cochabamba, recuperata dopo la Guerra dell’Acqua del 2000, quando fu cacciato dal paese, dopo mesi di mobilitazioni e scontri, il consorzio di multinazionali “Aguas del Tunari”, il quale aveva privatizzato il servizio idrico della città. La nuova gestione si compose di 8 direttori cittadini (3 dei quali eletti dai cittadini), i quali avevano il compito di controllare la trasparenza e il buon governo dentro l’impresa. Le recenti accuse di corruzione nei confronti dei direttori e dei dirigenti hanno affossato la forma di gestione con partecipazione e controllo sociale promossa dopo la Guerra dell’acqua.