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Il 25 Giugno è stato presentato in Parlamento il decreto-legge n. 112 recante disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, ad opera della Ministra dell’istruzione Gelmini. Il decreto legge, è uno strumento legislativo del governo, il quale ne può fare uso in caso di situazioni di emergenza (all’articolo 77 della Costituzione si legge “..in casi straordinari di necessità e d’urgenza”). In realtà l’urgenza dei contenuti del suddetto decreto è molto questionabile: soffermatevi sul Capo V, titolato “Istruzione e ricerca”. Il buon senso comune vi farà pensare che materie così delicate come quelle della ricerca e delli’struzione necessitino una riforma ragionata,un lungo dibattito parlamentare, magari la creazione di una commissione ad hoc per l’elaborazione della legge, ma soprattutto, di un largo consenso popolare. Invece no, si sceglie un atto avente forza di legge che serve per misure urgenti, lo si propone alla Camera a Giugno, lo si converte il 6 Agosto in legge 133, quando gli italiani con l’ombrellone in mano e la borsa frigo piena di lasagne e melanzane alla parmigiana si godono le loro più o meno meritate vacanze al mare.
Per capire come sarà l’Università del futuro dobbiamo riferirci principalmente agli articoli 16 e 66. L’articolo 16 si intitola “Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università”: infatti le Università pubbliche potranno deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato, tale delibera è adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta ed è approvata con decreto del Ministro dell’istruzione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Le fondazioni subentrerebbero in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio delle università. Ogni fondazione adotterà un regolamento d’Ateneo per l’amministrazione, la finanza e la contabilità: sarà quindi possibile per ogni fondazione decidere di innalzare le tasse degli studenti a proprio piacimento (arriveremo ai 10 mila euro della Bocconi?). L’Ateno inoltre diventerà un’arena di interessi politici di tanti soggetti diversi: gli organi attuali che lo compongono si dovranno confrontare con istituti di credito e imprese che useranno gli Atenei per entrare nei contesti locali elitari, le Province e le Regioni. Altro fatto grave è il licenziamento di gran parte del personale tecnico amministrativo che non ha un contratto a tempo indeterminato, ovvero i precari. Inoltre non vi è presente il men che minimo cenno al corpo docenti che rimane completamente deregolarizzato.
L’articolo 66 è dedicato invece al turn over che verrà bloccato al 20%: questo significa che per ogni cinque professori che andranno in pensione se ne potrà assumere solo uno (molti atenei avranno problemi di copertura dell’offerta formativa) e l’80% dei soldi risparmiati dalle assunzioni non viene reinvestito nell’Università, ma andrà a rimpinguare le casse del Ministero dell’economia e della finanza.
A metà Novembre all’Università arriverà la batosta finale con l’approvazione della legge finanziaria in cui si prevede un taglio dell’ordine di 1, 4 miliardi di euro in cinque anni che si abbatterà indiscriminatamente su tutti gli Atenei italiani, senza fare una valutazione di quali siano quelli più o meno virtuosi in materia di gestione delle risorse, ricerca e qualità dell’insegnamento.
Inoltre l’università italiana ha attualmente gravissimi problemi di funzionamento, molti atenei hanno disavanzi di bilancio di milioni di euro; diventa quindi difficile pensare che un taglio della spesa pubblica migliorerebbe la situazione, tanto più perché accompagnato da una legge che avvia l’Italia ad un modello di istruzione all’americana che sta fallendo (negli Usa è in atto una forte rivalutazione dell’Università pubblica, pensiamo alla UCLA). Questa è una legge che lede i principi che stanno alla base del nostro ordinamento giuridico,quelli di un sapere accessibile a tutti, di una scienza e un insegnamento liberi da fondazioni che indirizzerebbero la ricerca verso un sapere immediatamente spendibile, utile
economicamente.
In data 30 Ottobre i nostri senatori hanno dato una sorellina gemella alla 133: si chiama 137 e riguarda la scuola elementare. Questa nuova legge prevede l’ introduzione della figura del maestro unico che comporterà una riduzione dell’orario scolastico (nel piano contrattuale degli insegnanti si stabilisce un tetto massimo di ore lavorative) e quindi la nascita del conseguente problema delle famiglie di non saper più a chi affidare i figli durante le ore pomeridiane (ormai le famiglie monoreddito in Italia sono pochissime), il licenziamento del corpo docente e infine una riduzione delle materie atte a favorire l’espressione individuale come l’educazione artistica o le ore di musica (non si avrà il tempo materiale di svolgere tali insegnamenti). Dobbiamo dire comunque che la legge prevede una sorta di doposcuola a pagamento che pochi si potranno permettere.
E allora perché, quando persino il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti Barack Obama incentra la propria campagna su istruzione e sanità pubblica, noi andiamo in senso contrario? Perché c’è la volontà di riformare la scuola elementare che rappresenta uno dei modelli di istruzione primaria più invidiato al mondo (ce lo copiano presino i giapponesi)? Perché si vuole distruggere la ricerca italiana e far si che i nostri più brillanti scienziati se ne scappino all’estero? Forse non si è calcolato che il popolo italiano ancora riesce a pensare e quindi protesta.