Risposta al Ministro Ronchi, che sul manifesto il 28 aprile scorso attacca il Forum dell'Acqua:
(http://www.acquabenecomune.org/raccoltafirme/materiali/ufficiostampa/manifesto28-4-2.PDF) nella quale attacca il Forum Italiano dei Moviemnti per l'Acqua apostrofandoci come "ideologici".
L’iniziativa promossa da un largo schieramento di forze associative e sociali per la raccolta delle firme per i 3 referendum abrogativi per l’acqua pubblica ha già avuto il pregio di riaprire ed allargare una discussione relativa all’utilizzo di un bene comune fondamentale com’è l’acqua e alla gestione del servizio idrico. In questo dibattito sono comparse anche diverse imprecisioni e, a volte, vere e proprie mistificazioni, che ci inducono a chiarire alcuni punti di fondo.
Il primo: la privatizzazione del servizio idrico è in corso ormai da lungo tempo nel nostro Paese, da circa 15 anni in qua, tant’è che oggi si può dire la gestione del servizio è incardinata su una logica di tipo privatistico. Il punto di svolta avviene nella seconda metà degli anni ’90, quando alla gestione pubblica svolta da soggetti di diritto pubblico (Aziende speciali, Consorzi tra Comuni) si sostituisce progressivamente la gestione tramite società di capitali, in particolare S.p.A., che, com’è noto, sono soggetti di diritto privato e, come recita il codice civile, vengono costituite “per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. E’ qui che si passa da un’idea di servizio pubblico, finalizzato al soddisfacimento degli interessi collettivi e imperniato su una logica economica di pareggio costi-ricavi anche con il ricorso alla fiscalità generale, ad un’impostazione mercatista, che assume come priorità la realizzazione del profitto e si finanzia con le tariffe e il ricorso al mercato e alla Borsa. E’ qui il discrimine e il passaggio di campo, che porta i sevizi presunti “a rilevanza economica” a differenziarsi dagli altri servizi pubblici che garantiscono fondamentali diritti di cittadinanza, come sanità, istruzione, sicurezza e che, non casualmente, non conoscono forme societarie di gestione (anche se qualcuno, preso dal furore ideologico neoliberista, prova a proporlo). Poi, si può discutere e distinguere sul grado di privatizzazione: ovviamente, le S.p.A. a totale capitale pubblico sono una forma blanda di essa, ben definita come privatizzazione formale, mentre le S.p.A. miste e quelle private, definite come privatizzazioni sostanziali, sono maggiormente piegate ad una logica mercatista. Ciò non toglie che tutte queste sono forme di gestione privatistica, con le conseguenze del caso. E dunque non si può sostenere che il servizio idrico non è privatizzato perché sono solo 7 le S.p.A. totalmente private che gestiscono il servizio: è più chiaro e rispondente alla realtà evidenziare che dei 110 soggetti che gestiscono il servizio idrico nei 69 Ambiti territoriali che hanno affidato il servizio tutte sono società di capitali, 106 S.p.A. e 4 srl. Poi, delle 106 S.p.A., 65 sono a totale capitale pubblico, 34 miste pubblico-privato e 7 totalmente private.
Secondo punto: quello che produce l’art. 23 bis modificato dal decreto Ronchi è praticamente la privatizzazione totale del settore idrico. Infatti, la vera innovazione lì contenuta è il fatto di rendere residuali le 65 S.p.A. a totale capitale pubblico, che decadono alla fine del 2011 a meno che si trasformino in società miste con l’ingresso di un socio privato almeno per il 40%. Le forme normali di aggiudicazione del servizio idrico rimangono la gara o le S.p.A. miste, mentre le S.p.A. a totale pubblico, per rimanere in vita, devono passare attraverso una serie di ostacoli quasi insormontabili, e cioè dimostrare che non si può mettere il servizio idrico sul mercato (a riprova dell’ispirazione del decreto Ronchi) e avere il parere preventivo dell’Antitrust. Né si può continuare ad argomentare che alla gare possono partecipare soggetti “pubblici”, misti o privati: come già detto e ampiamente dimostrato, la gara non è un meccanismo che può costruire la concorrenza tra vari soggetti, perché il servizio idrico è un monopolio naturale e, invece, favorisce le grandi aggregazioni e alla fine determina la nascita di monopoli di tipo privatistico. E ciò perché, al di là di “normali” comportamenti collusivi e distorsivi, da mettere a maggior ragione in conto in un Paese a bassa legalità come il nostro, la gara nel settore idrico, per le sue caratteristiche, è costruita con scadenze lunghe e revisioni brevi: le concessioni durano 20-25 anni, mentre ogni 3 anni si possono ricalcolare tariffe, investimenti e le altre grandezze del servizio. Le condizioni ideali perché grandi potentati, magari multinazionali, possano fare “buone” offerte all’inizio e poi, grazie al fatto di detenere in modo pressoché esclusivo le informazioni sui costi e le modalità di erogazione del servizio, poter rinegoziare di fatto la situazione concordata. Del resto, se non si vuole essere ideologici, basta andare a guardare le esperienze concrete: è sufficiente andare oltreconfine, in Francia, dove il meccanismo della gara è molto utilizzato per vederne i risultati. Lì il numero di procedure di gara è molto elevato, circa 580 in media all’anno, visto che il sistema è molto frammentato. Ebbene, in quasi il 90% dei casi, la gara ha confermato i precedenti gestori che risultano essere, nella grandissima maggioranza, le 3 grandi multinazionali francesi del settore, Veolia, Suez e Saur.
Viene allora aggiunto che, accanto alla gara, occorre predisporre una forte regolazione pubblica del servizio: anche qui, sempre per rifuggire dall’ideologia, basta dare un’occhiata al sistema inglese, dove, assieme alla gestione totalmente privatizzata, esiste la più forte e “preparata” autorità di regolazione pubblica, l’OFWAT . Peccato che i dati del servizio idrico inglese parlano di forti aumenti tariffari, sottoinvestimenti e un record negativo di “water povertà”, l’indicatore che misura l’insostenibilità del costo della fornitura d’acqua rispetto al reddito percepito: le famiglie inglesi che si trovano in questa situazione sono ormai circa il 10%.
Infine, il terzo punto di fondo che vogliamo evidenziare è che esiste una strada alternativa per costruire un servizio idrico che risponda agli interessi generali dei cittadini, in termini di accesso universale, efficienza economica, qualità del servizio e costi contenuti. E’ quello che abbiamo già tracciato, come Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, quando predisponemmo nel 2007 la proposta di legge di iniziativa popolare per il governo e la gestione pubblica dell’acqua, sottoscritta da più di 400.000 cittadini e che giace colpevolmente nei cassetti della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, senza che nessuna forza politica presente in Parlamento si impegni sul serio perché perlomeno inizi la discussione su quel testo. Con quella proposta di legge, abbiamo individuato i 2 cardini fondamentali sui quali far poggiare il rilancio dell’idea del servizio idrico come reale servizio pubblico, e cioè una modalità di finanziamento del sistema che si possa avvalere anche della fiscalità generale e della finanza pubblica e l’indicazione della gestione del servizio attraverso la costruzione di un nuovo spazio pubblico partecipato. Non possiamo non notare come non ci si voglia confrontare con quest’impianto: si continua a dare per scontato che il finanziamento del servizio idrico passi unicamente attraverso la tariffa e il mercato, quando, invece, il ricorso parziale alla fiscalità garantisce un meccanismo più equo di ripartizione dei costi e la riattivazione della finanza pubblica è molto meno onerosa del ricorso al credito e, soprattutto, risponde molto di più al fatto di mettere in campo un nuovo ciclo di investimenti di cui il settore idrico ha assoluta necessità. Ancora, in questo schema cadrebbe il riconoscimento del profitto garantito ai soggetti gestori, con un evidente risparmio per i cittadini. Per quanto riguarda, poi, il modello gestionale, non abbiamo ancora sentito obiezioni forti e significative alla nostra proposta. Il nostro ragionamento si basa non semplicemente sul passaggio da una gestione privata ad una realmente pubblica, svolta da Enti di diritto pubblico. Quello che noi caldeggiamo non è puramente un cambio di natura giuridica dei soggetti gestori, ma un’idea più appropriata rispetto al fatto che l’acqua è bene comune e di proprietà collettiva. Occorre far sì che i soggetti concreti che producono e usufruiscono del servizio, i lavoratori e i cittadini, siano i reali protagonisti delle scelte di fondo che riguardano il servizio idrico, dalla fissazione delle tariffe alla decisione sugli investimenti. Non è un ragionamento astratto o velleitario: è quanto si è realizzato a Grenoble, in Francia, che, oltre a vantare la ripubblicizzazione del servizio idrico a Parigi dall’inizio di quest’anno, può farci vedere il percorso che è possibile intraprendere. A Grenoble, assieme alla ripubblicizzazione del servizio idrico avvenuta nel 2000, si è costituito il Comitato degli utenti, che è associato al Comune, sin dalle fasi preliminari, alle decisioni sulle scelte fondamentali: dopo 7 anni che si è proceduto alla ripubblicizzazione, le tariffe sono stabilizzate ad un livello almeno del 10% inferiore alla precedente gestione privata, gli investimenti sono triplicati e i posti di lavoro aumentati.
Insomma: non siamo solo contro le privatizzazioni, ma portatori di una proposta di fondo perché il servizio idrico sia realmente un servizio pubblico, sottratto alle logiche del mercato e del profitto, meno costoso per i cittadini, più efficace e sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Anche per questo abbiamo promosso i 3 referendum per l’acqua pubblica: per fermare Ronchi e tutti i privatizzatori ma anche per produrre una vera alternativa ai modelli che si sono affermati da 15 anni in qua. Di ciò pensiamo valga la pena discutere.
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