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Instabilità su tutti i fronti. Mentre il referendum costituzionale,  annunciato il 28 agosto e previsto per il 7 dicembre, è in forse, l’Oriente  boliviano secessionista alza il tiro e occupa i gasdotti. Blocca le strade  d’accesso ad Argentina, Brasile e Paraguay. Si impossessa delle raffinerie di  petrolio del Chaco. Esige la restituzione della Tassa sugli Idrocarburi, la IDH. Praticamente sta diventando la terra di nessuno. E comincia a scarseggiare il combustibile mentre i  prezzi degli alimenti sono triplicati in pochi giorni. Così, il referendum  revocatorio che ha dato a Morales un consenso del 70% sta dimostrando tutta la  sua inutilità. E il Presidente parla apertamente di un tentativo di golpe.
A Yapacanì, a nelle vicinanze della città di Santa Cruz, questa mattina l'esecito paramilitare Unión Juvenil Cruceñista (UJC) ha sparato su alcuni contadini che, esasperati da quasi due settimane di blocchi stradali, volevano passare per arrivare al vicino mercato e vendere la propria frutta. Questo gruppo di facinorosi - ma ben armati - agli ordini della CONALDE, il Consejo  Nacional Democrático che è la neonata istituziona delle prefetture che non vogliono più stare sotto il Governo Morales, volevano soldi per far passare la gente. Pare che i feriti siano parecchi - fra cui anche alcuni bambini - ma le notizie arrivano filtrate. "Yapacanì - dicono i contadini a Radio Patria Nueva - non sopporterà oltre questa violenza.Yapacanì se va a levantar!".
Quello che è successo questa mattina a Yapacanì è sintomatico di quello che sta succedendo in tutta la Bolivia: ormai ci sono due bolivie e parlano lingue diverse: mentre  quella ”legittima”, governata da Morales, cerca la “spallata” attraverso  l’approvazione della Nuova Costituzione, la seconda - quella delle regioni del Beni, Pando, Santa Cruz, Chuquisaca  e Tarija, riunite nel (CONALDE) - ha definitivamente disconosciuto  il governo centrale e ha occupato gli uffici della polizia e di tutte le  istituzioni che rappresentano lo Stato. Mentre il Paese affonda in una crisi  energetica senza paragoni.
Questa mattina i gruppi in opposizione al Governo hanno occupato le frontiere con il Brasile nella regione di Santa Cruz. Hanno annunciato l'espulsione dei cooperanti e dei funzionari cubani e venezuelani che stanno lavorando nelle regioni autonomiste. "L'ingresso al Brasile sono ora sotto nostro controllo. Gli uffici della migrazione sono stati occupati", ha annunciato il presidente della Unión Juvenil   Cruceñista (UJC), David Sejas. Aggiungendo che lo scontro diventerà sempre più duro. Gli fa eco José Luis Peña , della gemella Unión Juvenil Beniana (UJB), del Beni, nel Nord Ovest del Paes, che a Radio Panamericana dice: "Abbiamo già iniziato il rastrellamento di cubani e venezuelani nella nostra regione: basta con questa mentalità comunista". 
Da giorni i prefetti secessionisti stanno bloccando le principali vie  commerciali del Paese (da 12 giorni file interminabili di camion sono bloccate  ai confini con i loro carichi di frutta che marciscono al sole). Ai loro ordini  Gruppi di civicos armati di pali e  mazze da baseball hanno occupato gli uffici di varie istituzioni statali, come  la sede del servizio imposte a Trinidad, capitale del Beni, o quella della YPFB  (impresa petrolifera statale), a Tarija. Nel Pando, i grupos de choque (gruppi militanti d’assalto) hanno bloccato  l’aeroporto. I poliziotti che tentavano di difendere gli immobili, sono stati  picchiati selvaggiamente e definiti “invasori”. 
  Nel Chaco, dove si trovano i principali pozzi petroliferi  e raffinerie, le vie di transito verso l’Argentina sono bloccate, così come  quelle verso il Brasile. I gasdotti che si trovano nella zona sono stati presi.  Evo Morales grida al golpe di stato e  avverte che manderà i militari. Le autorità regionali che rispondono alla  CONALDE provocano il Governo attraverso   il prefetto di Santa Cruz, Ruben Costas:   “vediamo cosa sai fare”. E minacciano di bloccare definitivamente il  flusso di idrocarburi verso l’estero. Il ministro degli idrocarburi Carlos Villegas avverte allarmato  che se verranno messe in atto le minacce delle prefetture orientali, sarebbe  come “se il paese si tagliasse le vene”, facendo riferimento a quei due mila  milioni di dollari che sono le entrate derivate dalla vendita del gas, e ai 33  milioni di metri cubi di gas che viaggiano quotidianamente verso Brasile ed  Argentina.
  Rivogliono, quelli della CONALDE, l’IDH  (Impuesto  Directo a los Hidrocarburos)  la tassa sugli idrocarburi che il governo del  MAS ha tolto alle prefetture alcuni mesi orsono per creare fondi pensionistici  per i settori più deboli della società boliviana. Una mossa, quella di Morales,  più di propaganda che di soluzione strutturale dell’endemica povertà della  società boliviana. Ma tanto è: ormai il dialogo è totalmente interrotto.
Il governo boliviano nel frattempo ritratta a annuncia che il referendum  per l’approvazione popolare della Nuova Costituzione della Bolivia dovrà  passare attraverso il normale iter legislativo – il disegno di legge è già in  viaggio -  e non più con il decreto  supremo annunciato il 28 agosto dal presidente Morales, che fissava l’appuntamento  alle urne per il 7 dicembre.  Tre giorni  dopo la Corte   Nazionale Elettorale rispondeva invalidando  il decreto legge. La mezza Bolivia che non si riconosce nel Governo centrale –  quella delle regioni orientali – aveva urlato all’ennesimo colpo di mano. Il  MAS nel frattempo faceva passare un altro decreto legge, il 29699, per riformare,  il prossimo 25 gennaio, i prefetti non riconfermati nel referendum revocatorio  del 10 agosto scorso, ovvero quelli di La Paz e  Cochabamba. 
  E ha ben da dire, Morales, che finalmente la Bolivia avrà la  sua tanto agognata Nuova Costituzione. Le regioni secessioniste hanno già  avvertito: loro, alle urne a votare una costituzione “totalitaria e totalmente  a favore della elitè aymara” non ci andranno mai.