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Scontri in tutto l’Oriente del Paese. I separatisti attaccano un gruppo di contadini, almeno 9 i morti nella regione del Pando.
Solidarietà internazionale al governo Morales. Tensione bilaterale fra stati latinoamericani e Stati Uniti. Isolata la città secessionista di Santa Cruz da parte
dei movimenti sociali fedeli al Governo Morales.
Bolivia, il giorno dopo.
Per ora 9 i morti ammazzati nella giornata di ieri nella regione boliviana del Pando dall’esercito paramilitare della Union Juvenil agli ordini delle prefetture delle regioni secessioniste. Secondo le prime ricostruzioni, le vittime, a parte una identificata come impiegato della prefettura del Pando, sono tutte contadini della locale Federacion Campesina. I contadini sono stati attaccati con fucili e mitragliatrici nel pomeriggio di ieri mentre si stavano recando ad una riunione a El Porvenir, a 30 chilometri dalla capitale dipartamentale Cobija. Almeno 60 i feriti. 70 i dispersi. Le vittime dell’attacco pare abbiano tentato di difendersi con machete e bastoni. Ovviamente, nulla hanno potuto contro le armi da guerra degli “unionisti”, equipaggiati in maniera professionale.
Una furia omicida che non ha paragoni nel recente passato della Bolivia, nonostante i due anni della presidenza Morales siano stati caratterizzati da una conflittività sociale che ha contato oltre trenta caduti in manifestazioni e scontri di piazza.
Alla sanguinosa giornata è seguita una eccezionale alzata di scudi da parte di tutti i Paesi alleati in America Latina: il Brasile, con Lula, l’Argentina con “i” Kirchner, il Paraguay di Lugo, il presidente ecuadoriano Correa e soprattutto il presidente venezuelano Hugo Chavez, hanno tutti espresso solidarietà incondizionata a Morales.
Chavez, da sempre il più forte alleato politico ed economico della Bolivia, ha esordito senza mezzi termini contro la presunta ingerenza statunitense nei fatti boliviani, che hanno portato il governo boliviano all’espulsione immediata dell’abasciatore statunitense in Bolivia, Philip Goldberg: “Ya basta de tanta mierda de ustedes, yanqui de mierda”, ha esordito ieri Chavez nel suo discorso alla nazione. Facendo seguire l’espulsione dal proprio paese dell’ambasciatore statunitense Patrick Doddy, Dopo che gli USA avevano chiesto l’espatrio dell’ambasciatore boliviano dagli Stati Uniti, Chavez ha inoltre ritirato il proprio da Washington.
Anche la OEA, la Organizzazione degli stati Americani, attraverso il suo presidente Josè Miguel Insulza, ha espresso il proprio “ripudio per i gravi fatti della Bolivia”, elogiando la “prudenza di Evo Morales di fronte ai fatti” e considerando “totalmente inaccettabile la violenza delle opposizioni autonomiste”.
Philip Goldberg si è detto “sorpreso” dell’espulsione. Eppure da tempo era ritenuto responsabile della politica di “balcanizzazione” che i partiti di destra stavano portando avanti contro il Governo Morales. Il suo passato come responsabile a Pristina, in Kossovo, della missione statunitense, lo aveva pesantemente inimicato alle alte sfere di La Paz. La foto che ritraeva Goldberg al fianco di un paramilitare colombiano, girata in Bolivia alla fine del 2007, aveva definitivamente rotto i rapporti di cortesia fra il diplomatico e il governo Morales.
L’appoggio internazionale ha comunque permesso oggi al presidente boliviano Evo Morales di fare delle aperture ai prefetti secessionisti per un tentativo di dialogo.
Il ministro alla presidenza, Juan Ramón Quintana ha invitato oggi pomeriggio a La Paz il prefetto di Tarija - e portavoce ufficiale del coordinamento dei prefetti per l’autonomia, la CONALDE - Mario Cossío. “Sento che il dialogo è importante, solo però se c’è la diposizione a capirsi”, ha detto Morales, che nei discorsi di ieri aveva invece parlato di “pazienza al limite”, riferendosi alla possibilità di rispondere con le armi ai rivoltosi.
Aperture anche sul tema Nuova Costituzione: Morales dice di essere disposto a vedere se ci possono essere compatibilità fra il nuovo testo costituzionale – che dovrebbe essere ratificato attraverso un referendum popolare – e gli statuti autonomici che le regioni dell’Oriente, Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija, avevano approvato con un colpo di mano la primavera scorsa.
La giornata di ieri è stata il culmine di un’ondata di violenza che da 18 giorni teneva in stallo la parte orientale della Bolivia, in mano all’opposizione. I prefetti per la secessione, dopo il referendum revocatorio del 10 agosto scorso, avevano alzato il tiro arrivando a bloccare i rifornimenti di gas ad Argentina e Brasile, ed ad occupare alcune raffinerie nel Chaco boliviano.
Una strategia della violenza che pare aver mostrato tutta la sua fragilità: la presa degli uffici istituzionali e dell’aeroporto nella città di Tarija; la distruzione vandalica di molti edifici in Santa Cruz; il massacro nel Pando e la tregua concordata unilateralmente nel Beni dimostrano che il CONALDE non si muove coordinatamente. La lotta per il rovesciamento del Governo democratico di Morales pare essersi risolta in un’azione terroristica che ha attirato l’appoggio incondizionato di tutti gli stati amici della Bolivia, isolando mediaticamente – e politicamente – le destre autonomiste, qualificandole come assassine e indicando nell’ambasciatore Philip Golberg la mente dell’operazione.
Con tutte le carte a suo favore, il governo boliviano può ora procedere con il recupero della stabilità istituzionale e l’ordine nel Paese, anche con mezzi coercitivi. Mentre il movimento civico dei prefetti ha perso l’occasione che tanto aspettava, quella di utilizzare l’argomento della repressione e della forza da parte del governo Morales, per portare avanti il proprio disegno secessionista in difesa dei loro privilegi.
In queste ultime ore i movimenti sociali fedeli al Governo Morales hanno iniziato i blocchi stradali e l’accerchiamento per isolare la città di Santa Cruz.
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